Sarà un anno importante per la transizione verso un assetto del mercato digitale italiano all’altezza delle sfide portate dagli operatori globali e dalla loro potenza di calcolo. La rete unica a controllo pubblico è un obiettivo dichiarato del governo Meloni. Il progetto Minerva ne prevede l’affidamento a TIM, sotto il controllo della Cassa Depositi e Prestiti, che attualmente ha una quota del 10% del gruppo di telecomunicazione. I quattro tavoli tecnici che si sono susseguiti a dicembre al Ministero dell’Impresa e del Made in Italy con gli azionisti di TIM non hanno portato ad alcun risultato. Gli interrogativi sull’operazione non mancano, a cominciare da cosa vorrà fare Vivendi, maggiore azionista di Tim (e azionista di minoranza di MFE-Mediaset) al destino di Oper Fiber, creatura del governo Renzi, poco amata dal centrodestra al governo. Il principale interrogativo rimane però quello occupazionale, se prevarrà il modello wholesale only per TIM, che dovrebbe uscire dai servizi per gestire solo la rete, lasciando quindi il mercato del mobile agli altri tre operatori, peraltro tutti a controllo estero. Quanto vale la Rete e quali investimenti sono necessari per portare la fibra e 1 Gigabyte in tutte le case degli italiani entro il 2026 come prevede il PNRR? Obiettivo per nulla facile da raggiungere, soprattutto al Sud e nei piccoli centri, dove prevale la connessione mista tra fibra ottica e rame, quando non ancora il solo rame. Vi è un grande divario digitale tra grandi e piccoli centri, come dimostra l’ultimo rapporto Auditel-Censis (“che vive nei centri minori ha maggiori difficoltà a fare pieno ingresso nella vita digitale…per la più bassa qualità delle connessioni”).
Obiettivo che potrebbe diventare più raggiungibile se sulla Rete Unica dovessero migrare le emittenti televisive, che potrebbero diventare una killer application. Nel 2023 ci sono due appuntamenti di rilievo per il sistema televisivo e delle digitalizzazione: il passaggio alla standard DVB-T2, che non si sa quando avverrà (e se avverrà?) e la Conferenza Warc di Dubai di novembre, nel quale potrebbe essere deciso, o meno, l’abbandono delle frequenze terrestri residue da parte delle emittenti televisive, dopo quello della banda 700 avvenuto nel 2022 (da noi). Italia, Francia, Grecia e Spagna diranno no a tale prospettiva, chiedendo di rinviare ogni decisione al 2030, lasciando le frequenze in uso alla televisioni anche nei primi anni del prossimo decennio. Molti paesi del Nord Europa sono invece favorevoli all’abbandono. Frequenze Tv per tutti contro Tv senza le fasce deboli della popolazione? O Rete Unica e banda larga per tutti contro Rete Unica e banda larga senza le fasce deboli, che restano a guardare la tv? La questione del polo nazionale delle torri, con la fusione tra EI Towers e Rai Way dipende in gran parte dalle decisioni del Warc, perchè il valore delle aziende coinvolte si riduce con l’avvicinarsi dell’abbandono delle frequenze da parte delle televisioni. Il 2023 darà le prime risposte, e le sorprese non mancheranno.