La Destra che ha vinto le elezioni avrà numerosi nodi da sciogliere e scelte da compiere sul fronte della Comunicazione. Bisognerà però aspettare l’insediamento del nuovo Parlamento e il mandato per il nuovo Governo. Posti chiave saranno, nel governo, il Ministero per lo Sviluppo Economico e quello dell’Economia, azionista unico della Rai (a parte la minima quota Siae). In Parlamento si dovrà attendere la presidenza della Vigilanza Rai, di prassi assegnata all’opposizione e le competenti commissioni di Camera (Trasporti e Telecomunicazioni) e Senato (Lavori Pubblici e Comunicazioni, ora accorpato all’Ambiente nella riforma che ha ridotto il numero delle commissioni) oltre alle due Commissioni Cultura, che dovrebbero sopravvivere alla riduzione dei parlamentari e alla riforma delle commissioni. Riforma che la Camera non ha portato a termine.
Una prima considerazione: il partito che ha vinto le elezioni, Fratelli d’Italia, non ha designato né uno degli attuali consiglieri di amministrazione della Rai né un commissario dell’Agcom, l’Authority per le comunicazioni. Quando Massimiliano Capitanio venne nominato, il 31 marzo di quest’anno, al posto di Enrico Mandelli, deceduto, a votare l’ex capogruppo leghista in Vigilanza, furono soltanto Lega e Forza Italia, allora nella maggioranza del governo Draghi, a votarlo. Fratelli d’Italia fece mancare i suoi voti. Oggi Fdi ha il 26% dei voti contro il poco più dell’8% di Lega e di Forza Italia. La rete unica sarà uno dei primi argomenti sulla lista del nuovo governo. Fratelli d’Italia ha una posizione precisa. Con un precedente: nel 2020 la Camera approva un ordine del giorno del sottosegretario Gian Paolo Manzella, che ricalca in gran parte una mozione di Fratelli d’Italia. Al centro vi è il nuovo codice europeo delle comunicazioni elettroniche, che dà vantaggi regolamentari solo al modello wholesale only, quello indicato per la rete unico in Italia già dal decreto legge fiscale del 2018. Che vuol dire? Lo ha spiegato Alessio Butti, responsabile media e Tlc per Fdi: la rete unica spetta a Tim, con la mano pubblica di Cdp sul ponte di comando, Vivendi in minoranza e OpenFiber che dovrà lasciare la sua rete a TIM. Ma, attenzione: chi controlla la Rete Unica gestirla senza essere presente nei servizi che utilizzando la rete (wholesale only…). Il che vuol dire, come precisa Butti, ridurre gli operatori della telefonia mobile da quattro a tre, con Tim che dovrebbe cedere i suoi abbonati agli altri tre operatori (tutti sotto controllo di società estere…).
Passaggi tutti da verificare nella loro fattibilità, prima di tutto con l’Unione Europea e con gli alleati di governo da parte di Fratelli d’Italia, oltre che con le istituzioni competenti, presidenza della Repubblica compresa. Resta da capire quanto piaccia ai vincitori delle elezioni il modello di co-investimento europeo sulla fibra proposto da Tim e accettato dall’Agcom solo dopo lunga istruttoria e modifiche imposte alla proposta iniziale dell’operatore telefonico. La questione Rai sarà forse affrontata più tardi, per aspettare la Vigilanza, ma i problemi si conoscono: un vertice che non rappresenta il partito vincitore delle elezioni; un amministratore delegato vicino al Pd; indebitamento in crescita – era di 550 milioni nel 2021, supera i 600 nel 2022 -; cessione o meno della quota RaiWay ad EI Towers, o viceversa, per fare il polo unico delle torri; ascolti in forte calo nel 2022 per tutte le reti Rai, ben superiore al calo di Mediaset; canone che dovrebbe lasciare la bolletta elettrica, nella quale seconda la Ue non vanno aggiunti oneri impropri all’energia; pubblicità in calo e con affollamento ridotto (da 681 a 644 milioni in un anno); riorganizzazione aziendale da verticale (reti) ad orizzontale (generi e relative direzioni) difficile e costosa, immobili da cedere per far cassa; tetto dei 240mila euro annui per i dirigenti confermato dal Governo uscente dopo un’inattesa sua cancellazione, che certo non facilita la scelta della Rai da parte di manager di rilievo. Come terzo problema, ma non in ordine di importanza, vale la pena accennare al rapporto del Governo con i proprietari globali dei nostri dati, da Google a Facebook, da Amazon a Netflix (e SkyGlass?), a partire dalle questioni del copyright fino alla piaga sociale del cyberbullismo attraverso i social, da Instagram a Tik Tok.
Se dovessi pagare cinque euro al mese…
Chiamatelo il “balzello” Dazn. Il calcio in tv costa di più a qualità migliorata su Sky. Un’anteprima del futuro?
Pagare di più per avere una migliore qualità della visione televisiva? Sembra questa la filosofia dell’accordo Dazn Sky, in vigore dall’8 agosto. Quello che il Codacons ha definito “un brutto pasticcio” ha riservato un’amara sorpresa agli abbonati di Sky e Dazn: per vedere sulla pay tv di Comcast il calcio di serie A trasmesso in streaming da Dazn, occorre pagare cinque euro al mese in più a Dazn, rispetto a quanto già si paga (29,99 euro mensili). Perchè? Se io ho già un abbonamento a Sky Calcio e uno a Dazn perchè devo pagare di più? I due operatori non lo dicono, ma la risposta è una sola: perchè su Sky vedo le stesse partite con una migliore qualità video e audio.
Ricordiamo che anche in questo avvio di campionato non sono mancati gli “inconvenienti” tecnici durante alcune partite trasmesse da Dazn. La maggiore qualità televisiva va riservata ai redditi medio-alti? Quando si passerà alla tv a 8K, ci sarà un supplemento per chi vorrà vedere il calcio o un altro contenuto nel nuovo standard? La tv dei “poveri” sarà a bassa qualità? Per vedere in uno standard migliore bisogna già acquistare un apparecchio dai costi sopra la media. Se viene richiesto anche un supplemento “qualità” sui contenuti rispetto a quelli a bassa qualità, si andrebbe a creare un nuovo digital divide. Oltre ad un’alterazione della concorrenza: un broadcaster potrebbe non far pagare il supplemento e guadagnare abbonati e ascolti. Per la Rai servizio pubblico sarebbe un atto dovuto, visto che gli utenti pagano lo stessa canone indipendentemente dal reddito (almeno finora).
L’Agcom e l’Autorità Antitrust batteranno un colpo a vantaggio degli utenti, come richiesto dalle associazioni dei consumatori? Ultima questione, non per importanza: con l’accordo, l’app Dazn si trova sul decoder Sky Q. Benissimo, ma la qualità delle partite viste sull’app non è la stessa di Sky. E, soprattutto, il Wi-Fi per noi utenti non è uguale per tutti, tanto che non manca chi ha lo Sky Q ma non riesce ad avere l’on demand di Sky. Tu chiamale, se vuoi, “diseguaglianza digitali”…