Tutti uniti, tutti insieme, nella battaglia contro gli oligopolisti, le Big Tech globali. Oligopolisti nazionali compresi, ma “nascosti”. La Relazione annuale di Auditel al Parlamento del 23 Marzo è stata l’occasione di una vera e propria “chiamata alle armi” del centrodestra, con il centrosinistra e l’intera opposizione, non da oggi, del tutto assenti. L’ottica del centrodestra, dichiarata dal ministro Urso, è quella della sicurezza nazionale. Media, comunicatori e giornalisti non sono più, dalla guerra in Ucraina in poi, inviati neutrali che osservano, scrivono e, i più noti, parlano tra loro (che resta una penosa costante del mestiere in Italia). Sono soggetti che devono battersi per la difesa delle democrazie occidentali. Possono essere impiegati e utilizzati come agenti sul campo per conoscere mosse e motivazioni degli avversari, possono intervenire a favore delle scelte militari di questo o quel governo contro l’opinione pubblica. Possono ancora chiamarsi giornalisti questi “inviati della cyber security”? Per chi non l’abbia ancora fatto, è imprescindibile la lettura di Net War di Michele Mezza.
Il nemico viene dall’Est. O no?
Lo stesso Urso, alcuni giorni prima, alla presentazione della campagna Italia Digitale dell’Agcom, aveva chiarito, senza ombra di dubbio, su chi fosse il “nemico”: i sistemi totalitari, Internet e hacker inclusi, di Russia e Cina. Con un piccolo dettaglio: la chiamata alla armi riguarda i colossi statunitensi del Web e dello streaming, Tik Tok e Telegram esclusi, ed è quindi tutta interna alle democrazie occidentali, a cominciare dai rapporti tra Europa e Stati Uniti. I “pochi oligopolisti” che concentrano risorse, dati, poteri, conoscenze sulle vite, i desideri, i consumi, le opinioni politiche e le scelte elettorali di miliardi di persone, parlano inglese.
Dopo aver rilevato la totale assenza della sinistra e osservato come la Rai, concessionaria nazionale del servizio pubblico fino al 2027, non sia mai stata nominata in tutto il dibattito, al contrario di Media For Europe (Mediaset) citata nella Relazione Auditel per la volontà di costruire un soggetto paneuropeo della tv commerciale “e non solo”. Va rimarcata la progressiva espansione di un giornalismo “usa e getta”, che, senza alcuna conoscenza del contesto e delle dinamiche di un settore, in questo caso il digitale, non può che fare un copia incolla della Relazione e dei diversi intervenuti e firmare il pezzo.
Cambio (congiunturale?) di scenario
Lo scenario competitivo è cambiato, spiega la relazione di Auditel. Rallentano abbonamenti e produzioni di contenuti originali. Da qui la scelta di nuove strategie per non far crollare i ricavi, la principale delle quali è l’apertura delle piattaforme agli investimenti pubblicitari. Con, in cambio, un abbonamento ridotto. Nuovi attori compaiono sulla scena: Uber vuol competere sulla pubblicità con le sue app, con l’obiettivo di raccogliere un miliardo di dollari entro l’anno. Nel 2022 Google e Meta hanno raccolto, per la prima volta, meno della metà della pubblicità digitale negli Stati Uniti, a vantaggio di Amazon. La conquista del mercato, cioè dei cervelli di tutti noi, coinvolge i media classici, finanziati dalla pubblicità e i poteri istituzionali sino alla magistratura: a fine gennaio il Dipartimento di Giustizia statunitense, insieme ad otto stati federali, ha chiamato in giudizio Google per comportamenti illegali sul mercato pubblicitario, che permetterebbero alla stessa Google di incassare un “pedaggio” di 30 centesimi per ogni dollaro investito dagli inserzionisti.
Auditel lancia Audicom, si afferma un nuovo acronimo, il JIC
Che fare, allora? Auditel chiede un sistema normativo “più strutturato” in un settore che presenta un rilevante interesse generale, formalizzato dall’ultimo Testo unico sui servizi media.. I sistemi di misurazione dell’audience (i giornali non hanno audience ma acquirenti e lettori….se ancora ne sopravvivono) sono determinanti per il corretto funzionamento del mercato dei media e dell’economia digitale, equilibrando le dinamiche competitive, sempre meno eque e uniformi. Auditel è un JIC (Joint Industry Committee), a cui ha aderito Dazn su “invito” di AGCOM. Il modello del JIC, a partecipazione e controllo incrociato, con una governance indipendente, necessita di una veste giuridica: vero obiettivo della Relazione del presidente di Auditel, Imperiali: un chiaro invito ai partiti e al Governo. Auditel lancia Audicom come nuovo JIC, partorito dalla convergenza di Auditel stessa con altri istituti di rilevazione.
Il JIC non basta: proteggere i “campioni nazionali” (oligopolisti) contro gli oligopoli
Il Ministro Urso ha annunciato l’appoggio del suo ministero, e quindi del governo, alla battaglia della prominence, lanciata da Confindustria Radio Tv, cioè dall’istruttoria aperta dall’Agcom sui telecomandi delle tv connesse, con l’obiettivo finale di far mantenere da tutti i produttori la numerazione della LCN dei canali del digitale terrestre, che Samsung ha abolito in diversi modelli dal 2019. Per impedire “che la raccolta pubblicitaria vada nelle mani di pochi oligopolisti”, per citare sempre il Ministro del Mimit. La memoria è rimasta, purtroppo,un privilegio di pochissimi: qualcuno potrebbe ricordare che la raccolta pubblicitaria è già, ed è stata a lungo, nelle mani di pochi oligopolisti nazionali, senza udire un fiato da parte di chi oggi “chiama alle armi” contro gli oligopoli globali. Che, attenzione, certo vanno affrontati, per rendere trasparente la loro potenza di calcolo, la loro dimensione e le modalità di trattamento dei dati di tutti i loro utenti (oltre a conoscere audience e fatturati).
Un sistema dei media debole perchè concentrato. .
Il punto è questo: la concentrazione di risorse, diritti, frequenze, ascolti, nella mani dei due campioni nazionali”, uno dei quali dipendente dalla politica e l’altro dal conflitto di interessi, ha reso il Sistema della comunicazione italiano quanto mai fragile di fronte all’evoluzione dello scenario. Bassi prezzi della pubblicità, a vantaggio delle multinazionali (globali anch’esse) del largo consumo. E, di conseguenze risorse limitate per l’intero sistema della comunicazione. Overcommission ad orientare l’assegnazione dei budget. Mancata nascita di un secondo polo televisivo privato generalista nazionale. Impoverimento e disgregazione di emittenti locali che certo non hanno saputo consolidarsi in tempo (network) nell’analogico, ma che sono poi state un vero e proprio animale da macello da sacrificare con il passaggio al digitale. Editoria destinata a un declino con l’avvento della Rete, reso ancora più duro dalla ricorsa ai bassi prezzi pubblicitari della tv, svalorizzando il mezzo. Radio nazionali finite in mano agli oligopoli della tv. Produzione audiovisiva nazionale indipendente messa nelle condizioni di cedere il controllo a soci esteri.
Il paradosso della concentrazione nell’era delle SmarTv.
Ancora: per non dover ridurre le frequenze assegnate ai multiplex nazionali dal Piano 2019, dodici al posto delle precedenti dieci, con riduzione da quattro a uno per le locali, si è incardinata la liberazione delle frequenze richiesta dall’Ue, all’avvio del nuovo standard DVB T2. Così si cedono frequenze, era il pensiero, ma si aumenta la capacità trasmissiva, senza ridurre numero dei programmi e relative audience. Ma ora il gioco sta cambiando. Tutto è stato collegato alla diffusione delle tv connesse, quelle dove, però, si espandono le tv in streaming non rilevate (ancora?) da Auditel e che ora competono anche sulla pubblicità. Per ora non si passa al DVBT2 – a scapito ancora una volta delle tv locali, ormai appese ai finanziamenti pubblici, che hanno un solo multiplex per regione , ma le tv connesse sono destinate nel tempo a sostituire quella parte del parco televisori che riceve ancora in DVB T. Non c’è scampo: la concentrazione non si supera, ma facilita la progressiva “cessione” del sistema della comunicazione e dello stesso Paese. Se esistesse una sinistra dovrebbe dire: bisogna cambiare l’assetto del sistema nazionale per trattare, limitare, costringere alla trasparenza e all’investimento sulla produzione nazione le Big Tech. Il soldato Ryan deve cambiare per poter essere salvato. Ma la chiamata alle armi è chiara: il soldato Ryan va salvato così com’è, anche oltre il 2030 (Dubai, novembre 2023). Se ci riusciamo.