Il Governo di Giorgia Meloni è nel pieno sviluppo del suo programma ma sul fronte del Servizio Pubblico radiotelevisivo, a parte le indiscrezioni sui nuovi possibili cambi al vertice, non è dato sapere nulla di nuovo . Eppure, il 2023 potrebbe o dovrebbe essere l’anno di una svolta significativa e rilevante in grado di determinare gli assetti normativi ed economici di maggior rilievo sul futuro della RAI. Anzitutto è in pieno svolgimento il confronto tra il Mimit (ex MISE) e la RAI per la scrittura del nuovo Contratto di Servizio dal quale ne dovrebbe poi discendere un nuovo Piano industriale. In secondo luogo è verosimile supporre che il nuovo Governo possa o voglia mettere mano ad una Legge di riforma della governance dell’Azienda rimasta insabbiata nei cassetti del precedente Parlamento dove ne sono state presentate ben sette. Poi, sarà necessario dover trovare una soluzione al problema canone che, a partire dal prossimo anno, si dovrà o potrà riscuotere in modo diverso dall’attuale sistema. Infine, dopo quanto avvenuto nei giorni scorsi in Cda Rai con la decisione di cambiare il vertice di RAI Way, è molto probabile che possa avvenire una accelerazione del processo di creazione del tanto famigerato “polo delle torri” da realizzare con la fusione con Ei Towers.
Vediamo con ordine lo stato delle cose. Il nuovo Contratto di Servizio è sostanzialmente nella fase di “interlocuzione” tra le parti come ha recentemente ribadito la Presidente Marinella Soldi quando venne fuori la notizia di una presunta “bocciatura” da parte del Ministero su una bozza presentata da Viale Mazzini. La procedura per la stesura del nuovo documento prevede che anzitutto il Consiglio dei Ministri deliberi le “linee guida” su come intende procedere (documento approvato lo scorso maggio); in secondo luogo si passa all’AgCom che pure ha provveduto a luglio scorso e ora Mimit e Rai debbono stendere una bozza congiunta che dovrà essere formalmente approvata prima dal Ministro Urso e poi dal Cda RAI. Successivamente questo documento dovrà essere inviato alla Commissione Parlamentare di Vigilanza RAI per un parere obbligatorio ma non vincolante necessario per la scrittura del testo definitivo che infine sarà ratificato da Mimit e Cda RAI. Quindi siamo ancora in una fase di confronto tra le parti in attesa anzitutto di conoscere gli intendimenti strategici del Governo, atteso che il documento del CdM precedente era figlio di una stagione politica ormai superata. Di pari passo procede il silenzio da parte di Viale Mazzini: dopo che è stato costituto un apposito “gruppo di lavoro” nel dicembre 2021 e presentate in Cda nel gennaio 2022 le linee guida essenziali sull’argomento è caduto un muro di silenzio. Non ci sono tracce pubbliche di dibattito e di riflessione su grandi temi che lo interessano, ancor più rilevanti in vista della futura scadenza della Concessione prevista nel 2027. Da rilevare, infine che al momento in cui scriviamo, la nuova Vigilanza RAI è stata convocata con un probabile accordo per la presidenza sul nome della senatrice Barbara Floridia dove un passaggio formale del Contratto di Servizio comunque è previsto. In buona sostanza, il Contratto di Servizio 2023/27 è in alto mare e la stessa proroga al prossimo settembre di quello precedente appena scaduto concessa dal Governo rischia fortemente di non essere sufficiente.
Di questo ritardo ne soffre, giocoforza, anche il nuovo Piano Industriale Rai le cui ultime tracce risalgono a luglio dello scorso anno quando l’AD RAI, Carlo Fuortes, ha presentato in Vigilanza un scarno documento di 10 pagine con accenni di linee guida e sommari obiettivi dove si propongono “… tre concetti fondamentali: profonda trasformazione, valorizzazione delle risorse umane, visione di lungo periodo” e “… quattro Pilastri Strategici si articolano su 16 iniziative strategiche prioritarie” ovvero interventi nel settore distribuzione, contenuti, ricavi e aree operative”. In questo documento però manca anzitutto il riferimento a quanto scritto nelle bozze del Contratto di Servizio laddove si legge che è “…necessario che il Contratto di Servizio venga costruito di pari passo col Piano Industriale , tenendo conto anche dei potenziali impatti collegati al PNRR, affinché questi strumenti strategici possano congiuntamente creare i presupposti per declinare puntualmente la missione di servizio pubblico e definirne la strategia”. Manca dunque in primo luogo il “pari passo” in grado di mettere in sintonia i due documenti e poi non è assolutamente chiaro il “sinallagma contrattuale: una maggiore aderenza nel rapporto dinamico tra prestazioni richieste e risorse assegnate” concetto più avanti specificamente chiarito “Come anticipato, in Italia il tema del rapporto sinallagmatico tra prestazioni e risorse presenta dinamiche non sempre correlate tra loro” .
Ecco che si profilano allora pienamente intrecciati tra loro gli altri scenari che abbiamo accennato: un nuovo “assetto” normativo sulla Governance RAI e la definizione puntuale della sua risorsa economica più rilevante, il canone. Sul primo punto, al momento, non risultano interventi né da parte dei partiti di maggioranza e tantomeno da parte dell’opposizione, salvo che si intendano ripresentare i precedenti disegni di Legge. Per quanto riguarda invece il canone, siamo rimasti alla recente dichiarazione del Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: “Quest’anno è rimasto in bolletta, ma è evidente che il canone Rai dovrà uscire dalla bolletta” . Anzitutto potrebbe non essere del tutto evidente e, inoltre, come potrà avvenire tutto questo non è dato ancora sapere: il dibattito sul tema è completamente assente e solo questo sito recentemente ha promosso un confronto pubblico (vedi sezione Eventi). Intanto sono state rese note le bozze di una proposta di Legge avanzata dalla Lega dove si propone una riduzione progressiva del canone del 20% ogni anno fino alla sua completa eliminazione.
Infine, un capitolo a parte merita il tema Rai Way destinato ad impattare non poco sui futuri conti della RAI. La scorsa settimana, con relativa sorpresa, l’AD RAI ha proposto il cambio del vertice della Società quotata di Via Teulada: via l’AD Aldo Mancino e avanti con il nuovo Roberto Cecatto. La motivazione ufficiale fornita in Cda Rai è stata la “discontinuità” con la precedente gestione senza bene specificare in che termini si dovrebbe porre questa operazione sotto questo segno. I conti di Rai Way, a leggere quanto dichiarato recentemente a seguito dell’approvazione del Bilancio 2022, sembrano in ordine e con prospettive di crescita “Tutti gli indicatori economici in miglioramento; Adjusted EBITDA in crescita del 5,7% seppur in presenza di un aumento dei costi dell’energia elettrica di oltre il 70%; per il 2023 attesa un’ulteriore marcata crescita dell’Adjusted EBITDA”.
Quale è dunque il senso di questa operazione? In che termini si prospetta un vantaggio significativo e rilevante per RAI e in che modo questo cambio di marcia può influire sull’ipotesi di cessione della restante quota di maggioranza di Viale Mazzini che il precedente Governo Draghi ha autorizzato a scendere fino al 30% con l’obiettivo di agevolare la costituzione del cosiddetto “polo delle torri”? Ancora una volta, come già successo nel 2014, la cessione di una quota di RAI Way serve a fare cassa e salvare i conti? Giorgetti, quando era Ministro al MISE, a marzo dello scorso anno, dichiarò solennemente che Rai Way era un presidio strategico nazionale e che giammai si dovrà perdere il suo controllo e interesse pubblico e che la vendita di una sua parte dovrebbe servire unicamente a fare investimenti. La quotazione in Borsa della Società di Via Teulada nasce “storta” e rimane tale. È sempre opportuno ricordare che l’operazione di vendita di RAI Way è stata operata sotto il dubbio della correttezza giuridica formale come hanno osservato tre noti e autorevoli costituzionalisti (Ainis, Pace e Cheli).
Il problema del controllo della possibile Società unica delle torri si concentra esattamente sul terreno della definizione sua governance : a giugno dello scorso anno il quotidiano Il Messaggero pubblicò una indiscrezione secondo cui “La gestione operativa (nomina del Ceo e di molti consiglieri), oltre che la leadership nazionale del nuovo gruppo, dovrebbe rimanere a F2i poiché “né Rai né Mediaset potranno gestire in monopolio infrastrutture e servizi di rete per broadcaster”. Ora è difficile immaginare come i due orientamenti possano coesistere tra loro: o il controllo rimane in mano pubblica o passa in mani private. Da ricordare sempre che il “deal”, per quanto noto e pubblicato dallo stesso giornale lo scorso 14 settembre, si dovrebbe fare con F2i al 33%, la Rai al 30% come stabilito dalla Legge e Mediaset tra il 15 e il 18%%, mentre il restante capitale dovrebbe rimanere flottante (F2i possiede il 60% di Ei Towers e il restante 40% è posseduto da Mediaset). Rispunta ogni tanto l’ipotesi di una partecipazione di Cassa Depositi e Prestiti ma, ancora una volta, senza alcuna definizione del suo ruolo nell’operazione che non sia il generico “interesse pubblico”. A farla breve: il pasticciaccio brutto di Via Teulada continua ad essere irrisolto e seppure si intravvede una soluzione sembra più a favore della concorrenza del Servizio Pubblico e che non a suo favore: i “razionali” dell’operazione appaiono sempre più finanziari e sempre meno industriali e, tant’è, che nelle bozze di Piano industriale RAI di cui siamo a conoscenza dell’argomento non si trova traccia.
Possiamo stare tranquilli? O no? Spero proprio che non si vada a finire in mani private.