Secondo il Ministero dell’Interno “Del corpo elettorale fanno parte 2.682.094 maggiorenni che per la prima volta, dopo la recente modifica dell’art. 58 della Costituzione, potranno votare non solo per la Camera dei Deputati, ma anche per eleggere il Senato della Repubblica. Dei giovani elettori le donne sono 1.302.170 e gli uomini 1.379.924”. Totale elettori: 46,1 mln, totale votanti 29,4 mln, schede bianche e nulla circa 1,3 mln.
Le nuove generazioni digitali hanno allargato la base di riferimento, hanno preso consistenza ed hanno contribuito in modo importante alla formazione del nuovo quadro politico. Giovani, Destra e dieta mediatica: quali relazioni sociali e politiche possono intercorrere tra questi soggetti nell’epoca della post pandemia, della guerra e alla luce della recente consultazione elettorale? Non vogliamo sostenere tesi già precostituite ma proporre elementi di riflessione, a partire dalle definizioni e qualificazioni dei cosiddetti “giovani” laddove spesso si sottintende una dimensione e un significato non sempre univoco e condiviso.
Anzitutto, a chi ci si riferisce quanto si parla di “giovani” e quali sono i tratti salienti che li possono descrivere, seppure sommariamente? Limitiamo il campo di osservazione alle generazioni comparse a cavallo tra la fine del secolo scorso e quelle che hanno votato al Senato per la prima volta alle elezioni politiche 2022. Consideriamo dunque la coda lunga dei cosiddetti “Millennials” cioè i nati tra il 1990 e il 1996 (Pew Research Center) e una parte della “Generazione Z” ovvero i nati tra il 1997 e il 2012 (Treccani). Si tratta dei segmenti anagrafici entro i quali si può circoscrivere, seppure per certi aspetti arbitrariamente, la fascia dei cosiddetti “giovani” cioè quella compresa nella popolazione di età tra i 18 e i 34 anni. Utile osservare, ad esempio, che si tratta della suddivisione utilizzata da Auditel che nel Report settimanale Total Audience su otto fasce ne rileva due di nostro interesse: una compresa tra i 15 e 24 e l’altra tra i 25 e i 34 anni. Per la Rai si tratta dell’8%, per Mediaset del 12% del totale.
In base all’ultimo censimento ISTAT, al 31 dicembre 2020, la popolazione in Italia conta 59.236.213 residenti dei quali 10.345.102 di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Come si caratterizzano questi aggregati? Secondo una recente indagine IPSOS si tratta di individui “ … Cresciuti con la tecnologia, la usano per connettersi agli altri in modi nuovi. Sono globali, aperti, appassionati, tendenzialmente inclusivi. Cercano legami e alleanze tra loro, aspirano a sostenere gli altri, per dare valore alle persone e non con il solo fine di mostrarsi. Egocentrici e frangibili, sono allo stesso tempo caparbi e, a loro modo, utopisti. Vorrebbero fare la cosa giusta e, a differenza di altre generazioni, non sono ancora stanchi di provarci” e dalla pandemia “…sono usciti più riflessivi (41%) e più sfiduciati (41%). Quasi un terzo dei giovani si sente più fragile (31%), mentre il 28% si dice più sedentario e, un altro 28%, più triste. La pandemia ha reso i ragazzi maggiormente monadici, con il 44% che si sente escluso dalla società. Allo stesso tempo gli under 25 anni non sono una generazione che si vuole arrendere. Rispetto ai loro genitori mostrano il doppio del coraggio (14% contro il 6%) e della profondità (18% contro il 9%), ma, soprattutto, vogliono impegnarsi per cambiare la realtà (74%)”.
Altre connotazioni invece per i “millennials”: secondo una ricerca Nielsen del 2015 (individui tra i 18 e i 35 anni) si tratta di circa 11 mln di persone che in età adulta hanno cominciato ad avere a che fare con Internet ed emerge che “il 76% di loro (8,4 milioni) è abitualmente connesso. Ogni mese trascorrono online un tempo pari a 66 minuti e 34 secondi di cui gran parte attraverso dispositivi mobili (18 minuti e 36 secondi da PC, 49 minuti e 30 secondi da smartphone e 29 minuti e 24 secondi da tablet)”. Si tratta della generazione altrimenti definita come “nativi digitali” o pure “always connected”.
Il device per eccellenza dei Millennials è lo smartphone sul quale trascorrono mediamente 2 ore e 41 minuti al giorno. Attraverso questi mezzi rimangono connessi a Internet il 69% del tempo (social network e istant messagging, app, giochi e video), il 14% in più rispetto alla media italiana”.
Trasversale a questi due grandi aggregati e di evidente rilevanza sociale e politica si colloca la cosiddetta “generazione NEET” cioè Not in Education, Employment or Training ovvero coloro che non lavorano e non occupati in alcuna attività scolastica o formativa. Secondo l’ultimo Rapporto del Ministero per le politiche giovanili in Italia i NEET “… nella fascia d’età 15-34 anni sono complessivamente più di 3milioni, con una prevalenza femminile pari a 1,7 milioni. Dopo la Turchia(33,6%), il Montenegro (28,6%) e la Macedonia (27,6%), nel 2020 l’Italia è il Paese con il maggior tasso di NEET in Europa”. A proposito di condizioni economiche, l’ultimo rapporto ISTAT dello scorso luglio indica in circa 1,1 milioni i giovani tra i 18 e i 24 anni considerati poveri assoluti, che passano dal 3,1% del 2005 all’11% dello scorso anno.
Esiste poi un micro segmento, stimato in Italia in circa 100 mila individui, i cosiddetti Hikikomori: si tratta di una tipologia di giovani che se pure numericamente possono essere poco significativi per altro rispecchiano una vasta area grigia di malessere giovanile. Sono sempre in casa da almeno 6 mesi, privi di ogni relazione sociale esterna se non con i propri familiari e non necessariamente associati a disturbi di tipo psicotico.
Dentro i numeri e le statistiche che definiscono i “giovani” ci sono i comportamenti, gli stili di vita, le condizioni economiche e sociali, i linguaggi e le relazioni tra loro e le istituzioni e, di conseguenza,il loro comportamento elettorale. Nei giorni scorsi è stato pubblicato un articolo a firma Fulvia Caprara su La Stampa che fotografa bene la situazione: “Generazione disagio” e si riferisce al catalogo di difficoltà, disturbi della personalità, e patologie varie che il cinema (e la televisione) espongono a tal punto da far ritenere che possa essere in corso una vera e proprio epidemia generazionale ed esistenziale. Secondo quanto pubblicato nell’indagine “I giovani ai tempi del Coronavirus”, condotta da IPSOS per Save the Children su un campione di adolescenti tra i 14 e i 18 anni si legge che sono “Stanchi, incerti, preoccupati, irritabili, ansiosi, disorientati, nervosi, apatici, scoraggiati: questo è ciò che gli adolescenti hanno affermato di provare nel periodo più intenso del lockdown. Rispetto alla sfera della socialità per quasi 6 studenti su 10 (59%) la propria capacità di socializzare ha subito ripercussioni negative, così come il proprio umore (57%) e una quota non molto inferiore (52%) sostiene che le proprie amicizie sono state messe alla prova”.
Dunque, ci riferiamo ad una parte consistente di popolazione attenta e presente che solo in parte ha partecipato alle recenti elezioni politiche. Vediamo i dati conosciuti. Per quanto riportato da una indagine IXE si legge che nelle due fasce (18/24 ) e 25/34 l’astensione è stata pressoché analoga a quella della media nazionale intorno al 40% mentre sono significative le differenze nel voto verso i diversi partiti/schieramenti. Secondo IPSOS di Nando Pagnoncelli il 42% degli aventi diritto nella fascia 18/34 anni non si è recato a votare. È la quota più alta rispetto agli altri segmenti, ha votato in maggioranza per l’area centro sinistra (32,9%) e si inserisce nella quota più bassa di partecipazione al voto della storia repubblicana (63,8%). Anche Opinio Italia, per conto Rai, ha confermato questo dato che vede i giovani (sempre nella fascia 18/34 anni) votare centro sinistra. Renato Mannheimer, noto sondaggista, ha osservato: “Da dieci anni il dato si conferma: i giovani non partecipano al voto perché non trovano un’offerta di loro interesse”. Secondo quanto riportato invece da SWG e YouTrend la partecipazione al voto dei giovani (sempre nella stessa fascia di riferimento 18/34 anni) “il dato sull’astensionismo è praticamente in linea con quello complessivo. Anzi, secondo SWG, è stato leggermente superiore, arrivando al 37% (+1% rispetto al dato generale). Questo nonostante, per una buona fetta di loro (grosso modo quelli tra i 18 e i 22 anni), si trattava del primo appuntamento con le urne per una tornata nazionale”. Per quanto riporta Skuola.net i giovani non hanno seguito le indicazioni dei partiti che hanno avuto maggiore esposizione mediatica.
Ora si pone il tema: come può avere influito sulla formazione “politica” dei giovani la dieta mediatica alla quale si sottopongono le generazioni che abbiamo considerato? Un luogo comune della narrazione su questo argomento vuole che i “social” siano i driver più rilevanti attraverso i quali si matura, si forma e prende consistenza il comportamento sociale che poi si riversa o meno nella urne.
Rispetto alla dieta mediatica dei giovani italiani, i dati più rilevanti si possono reperire attraverso l’ISTAT con la sezione “aspetti della vita quotidiana”, dove è possibile confrontare le variazioni 2021 sull’anno precedente per tutte le fasce di età interessate e per i diversi media (radio, televisione, internet).
Altra fonte di riferimento primario è il CENSIS con il Report Annuale sulla comunicazione (il prossimo è atteso fra poche settimane). Il 17° rapporto sulla Comunicazione del CENSIS – I Media dopo la Pandemia – pubblicato lo scorso dicembre riporta dati significativi sulla dieta mediatica dei giovani e si legge che “Tra i giovani (14-29 anni) c’è stato un ulteriore passo in avanti nell’impiego dei media, in generale, e delle piattaforme online, in particolare. Il 92,3% utilizza WhatsApp, l’82,7% YouTube, il 76,5% Instagram, il 65,7% Facebook, il 53,5% Amazon, il 41,8% le piattaforme per le videoconferenze (rispetto al 23,4% riferito alla popolazione complessiva), il 36,8% Spotify, il 34,5% TikTok, il 32,9% Telegram, il 24,2% Twitter” mentre aumenta complessivamente l’utenza media per i diversi media (Tv, cellulare, internet, social, radio e libri) e diminuiscono invece quotidiani e periodici.
Infine, altra fonte importante che merita attenzione è quella fornita ogni anno dall’Istituto Toniolo con il Rapporto Osservatorio Giovani.
Rispetto alla domanda che abbiamo posto sulle possibili correlazioni tra stato sociale, culturale e risultato elettorale del 25 settembre, risulta complesso trovare facili e comode risposte. Il periodo entro il quale si forma una coscienza pubblica, politica e sociale, è da ricercare in un arco molto lungo dove il sistema mediatico interviene in quota parte, insieme agli altri istituti della socialità come la famiglia e la scuola. Non sono quindi sufficienti i dati statistici, i grafici e le tabelle a tracciare il quadro delle dinamiche in corso nella condizione giovanile. Però possono essere utili a mettere meglio a fuoco una parte fondamentale del Paese troppo spesso sottovalutata e se non peggio pressoché ignorata.