Il Parlamento è sceso nell’attuale legislatura da 945 a 600 membri eletti. Avremmo dovuto attenderci una proporzionale riduzione nella Commissione di Vigilanza Rai. E invece i suoi componenti non solo non diminuiranno, ma aumenteranno: da 40 a 42, perché tutte le forze politiche vogliono essere rappresentate. E’ un fatto che la dice lunga sull’invincibile voglia della politica, tutta, di controllare la Rai.
E’ da condividere la richiesta – contenuta nel documento che ci ha illustrato Andrea Melodia – di dare trasparenza al percorso che porterà al prossimo Contratto di Servizio. In passato la consultazione delle voci della società a volte c’è stata, a volte no. E’ giusto esigere che i soggetti istituzionalmente competenti la avviino per tempo, prima ancora che il testo arrivi all’esame della Vigilanza.
Quanto al canone, sento affiorare in questi mesi di nuovo proposte che lo vorrebbero ripartire tra diverse emittenti, in base all’offerta di informazione. Ma il servizio pubblico non è un genere; non è per l’informazione che il canone va alla Rai, ma per il complesso di un’offerta. Torna alla mente la saggia battuta che faceva Jader Jacobelli: “se questa diventasse la logica, allora una quota di canone potrebbe andare anche a chi propone due ore di informazione e poi dieci di film porno”.
Il tema degli assetti proprietari sollevato da Roberto Zaccaria merita di non essere lasciato cadere. Perché no una quota di proprietà dei cittadini che pagano il canone? Perché no una Rai public company?
Al di là delle questioni legislative, finanziarie e tecnologiche, c’è un punto che a me pare il più allarmante: il silenzio politico-istituzionale che c’è intorno alla Rai quando si tratta di apprezzarne i meriti. Parliamo qui alla vigilia del Giorno della Memoria, per il quale la Rai proporrà un’offerta straordinariamente ricca per qualità e quantità. E potrei fare tanti altri esempi: dal Moro di Bellocchio alla fiction sul generale dalla Chiesa, solo per citarne alcuni. Eppure non una sola voce si leva in questi casi dai partiti per manifestare apprezzamento, mentre quegli stessi partiti non fanno mai mancare polemiche aspre quando ci sono da criticare mancanze vere o presunte del servizio pubblico. Stiamo attenti anche noi – suggerisco – ad un atteggiamento del tipo “com’era verde la mia valle”, che non sappia cioè guardare a quanto di positivo la Rai sa offrire anche oggi. Altrimenti rischiamo che il servizio pubblico della comunicazione subisca la stessa sorte del servizio pubblico della sanità: sottoposto per anni a tagli dei fondi e a campagne sulla “malasanità”, salvo scoprire all’arrivo del Covid che il Paese non era più in grado di offrire gli indispensabili servizi territoriali o allestire le sale necessarie per le terapie intensive.