Pur con tutti i suoi limiti, il canone è il modello che meglio preserva l’indipendenza dei servizi pubblici, perché poggia sul concetto Reithiano “I cittadini , attraverso il canone, finanziano il servizio pubblico e quindi ne sono i proprietari”.
Il problema è che in Italia il modello del canone non è stato applicato all’inglese, ma all’italiana.
Tre sono in particolare i punti deboli del canone all’italiana:
1) il suo pagamento è ancora legato al possesso dei devices tradizionali (apparecchio tv, radio, sintonizzatore) ed è quindi destinato ad una rapida obsolescenza. Basterebbe dire che il pagamento è dovuto da tutti coloro che possiedono uno strumento di comunicazione (incluso telefoni e computer) e ciò lo metterebbe al riparo dal rischio di obsolescenza;
2) i fondi sono riscossi dallo Stato, ma senza esser messi in un conto separato con vincolo d’uso (vedasi modello finlandese). Ciò di fatto fa si che sia il governo in carica a decidere annualmente quanto versare al servizio pubblico, esponendola RAI ad un ricatto permanente. Basterebbe introdurre il vincolo d’uso rafforzandolo eventualmente con il requisito della maggioranza qualificata per poterlo sospendere o revocare;
3) il suo importo non è pluriannuale ma stabilito anno per anno, cosa incompatibile con il settore dei media che ha bisogno di poter programmare sul medio-lungo periodo. Un problema cui sarebbe facile ovviare, stabilendo che l’importo di spettanza deve restare lo stesso almeno per un periodo di cinque anni, con eventuale adeguamento automatico all’inflazione. E, mutuandolo dall’esempio tedesco, l’importo del canone potrebbe esser deciso ogni cinque anni da una commissione di esperti indipendente (che però sia davvero tale).
L’unico punto debole irrisolto che resterebbe sarebbe quello della mancata progressività dell’imposta, ma visti gli importi di cui si parla, forse non è poi un requisito cosi indispensabile.
Il suo punto di forza è che il pagamento in bolletta resta la modalità di riscossione più efficace in quei paesi che non possono contare su un catasto e un’anagrafe tributaria molto efficienti (nella UE anche da Portogallo e Grecia).
POSSIBILI ALTERNATIVE:
In alternativa a questo “canone +” (cioè modificato in meglio), i modelli alternativi finora dimostratisi più efficienti in Europa sono quello tedesco e quello finlandese.
Il modello tedesco
Il modello tedesco, collegato alla disponibilità degli immobili, è molto efficace, perché crea una vera e propria tassa finalizzata al finanziamento del servizio pubblico, e perché ne estende la platea anche ad imprese, uffici e negozi. Naturalmente ciò presuppone un’anagrafe fiscale strutturata ed efficiente.
L’altro “unicum” del modello tedesco è che l’importo del canone non è stabilito dal governo, né dal soggetto beneficiario, né dal negoziato fra i due, ma da una commissione indipendente (che si chiama KEF), che sulla base dell’analisi dei bilanci e dei costi medi del settore, stabilisce il fabbisogno finanziario del Servizio Pubblico. Una decisione che è inappellabile.
Inoltre il canone è stabilito per quattro anni e i negoziati per rifissarne l’importo cominciano due anni prima della scadenza.
Unici nei del modello tedesco: non è nella fiscalità generale, e la riscossione è effettuata direttamente dagli enti del servizio pubblico (e quindi ha bisogno dell’intervento dello stato in caso di morosità). Solo che la propensione al pagamento delle imposte da parte dei tedeschi è nettamente maggiore di quella dei loro omologhi italiani, e quindi gli interventi coattivi dello stato sono assai meno necessari.
Il Modello finlandese (e svedese)
E’ in apparenza il piu semplice, visto che si tratta di una tassa per il finanziamento del Servizio Pubblico, all’interno della fiscalità generale. I suoi punti di forza sono che questa tassa è progressiva, garantisce un finanziamento stabile pluriannuale ai media di S.P., non entra nel budget dello stato, e non può essere destinata ad altri usi.
Il principale inconveniente è che essa è possibile solo in presenza di un’efficienza generale del sistema di riscossione delle imposte.
Lo stesso modello è applicato infatti anche in Norvegia e Islanda, che però presentano il tallone di Achille che i fondi riscossi entrano prima nel budget dello stato per poi fuoriuscirne. Un’operazione che potrebbe esser annullata o modificata in sede di approvazione del bilancio annuale dello stato. Non è finora accaduto, ma il rischio è presente.
Di fatti è quello accaduto nel sistema danese (copiato da quello olandese), dove i fondi assegnati al Servizio Pubblico sono stati ridotti in sede di approvazione del Bilancio annuale dello stato quando sono arrivati al governo partiti ostili al S.P.
Questa alea ha portato a tagli ai budget del SP in questi paesi fra il 25% (in Danimarca) e il 40% (in Olanda) nell’arco di alcuni anni.