E’ ripreso il Risiko della televisione europea. Una “ripresa”, però, che ha subito uno stop esemplare. Un antitrust nazionale, quello francese, ha bloccato una fusione, quella tra TF1 e M6, che avrebbe modificato l’assetto storico della televisione transalpina (due tv commerciali nazionali in competizione con quella pubblica) e dato vita ad un gruppo franco-tedesco. M6 o meglio il 48,6% del suo pacchetto azionario, è stata per ora tolta dal mercato dal gruppo tedesco RTL che la controlla e che è stato il vero regista dell’operazione fusione. RTL ha tolto per ora M6 dal mercato e così ha dato un secondo stop agli altri gruppi interessati a M6, tra cui Mfe, leggi Mediaset, sede legale in Olanda, presente in Italia, Spagna e Germania. Mfe che rilancia la sfida della tv commerciale in Germania, cambiando l’amministratore delegato di ProsiebenSat, tv, di cui è il maggior azionista.
Crescere nei principali mercati europei è diventato il principale obiettivo di quelli che una volta erano broadcaster nazionali, pubblici e privati. Non da oggi: solo che prima la motivazione che aveva portato Fininvest in Francia con La Cinq erano le sinergie e le economie di scala da effettuare sulla raccolta pubblicitaria nei mercati più ricchi e più numerosi. Ora vi è una motivazione ulteriore e non riguarda solo lo sviluppo, ma la sopravvivenza stessa delle tv generaliste. Perchè, oggi, fare una fusione tra due tv commerciali? Per resistere alle nuove invasioni barbariche, che conquistano ogni giorno di più gli utenti europei (anche con le serie coreane…). Secondo Digital Tv Research nel 2027 ci saranno 1,03 miliardi di abbonati alla pay tv in 138 paesi, pari al 57% delle abitazioni. Nel 2018 la pay tv arrivava nel 61% delle abitazioni. Il problema per le tv europee è che di tale miliardo di abbonati, nel 2027 440 milioni la riceveranno da IP Tv, leggi Netflix e Amazon, con 132 miliardi di dollari di ricavi previsti. IP TV che sarà leader, a scapito della pay tv satellitare, già alla fine di quest’anno. Gli abbonati globali allo SVOD cresceranno di 475 milioni tra il 2021 e il 2027 raggiungendo 1,68 miliardi di abbonamenti (una famiglia può fare più di un abbonamento) con 132 miliardi di dollari di ricavi, sempre secondo le previsioni di Digital Tv Research. E la quota della tv su Internet potrebbe aumentare se molti paesi europei, in particolare quelli del Nord Europa, decideranno di rottamare e smobilitare le frequenze terrestri, utilizzando la televisione, che resta il media più popolare, per diffondere in tutte le abitazione la rete fissa in fibra ottica. Fondamentale, in ogni caso, resta conquistare i diritti nei mercati chiave. Disney plus, nel 2027, avrebbe superato gli abbonati a Netflix se avesse conquistato la Premier League – non del calcio inglese, ma del cricket in India. Tanto per capire quali sono i mercati che “contano”. Così non è stato e la leadership degli abbonati resterà a Netflix anche nel 2027, con 263 milioni contro i 207 previsti per Disney. L’andamento dei mercati spesso porta a rettificare nel tempo tali previsioni, ancor più in tempi di pandemie, guerre e choc energetici e ambientali. Fino a poco tempo fa si sarebbe obiettato: ma sono offerte a pagamento, competono solo con le pay tv. No, questo è il secondo vero motivo del Risiko europeo in corso.
Gli abbonati alla pay non crescono come previsto e, allora, la pubblicità è in arrivo sullo SVOD dal 2023. Accanto allo SVOD ci sarà l’AVOD, Advertising Video on Demand, a prezzi ridotti per gli utenti rispetto allo SVOD. Netflix lancerà la sua offerta AVOD nel 2023 a 7-9 dollari al mese, rispetto ai 15,49 al mese dell’abbonamento SVOD negli Stati Uniti. Una riduzione di oltre il 50%: in cambio gli utenti dovranno accettare quattro minuti di pubblicità all’ora, all’inizio e a metà di film ed episodi delle serie.
I programmi per bambini resteranno senza spot. Da qui la necessità, per le tv commerciali europee, di avere dei presidi nel principali mercati per reggere il confronto con soggetti multinazionali che stanno allargando l’offerta dalla fiction e dai film allo sport e all’informazione e si apprestano a raccogliere pubblicità e sponsor. Sarà decisivo capire cosa accadrà nelle varie Auditel nazionali per misurare gli ascolti delle offerte in streaming Le tv europee, insomma, devono lanciare i propri servizi di streaming a livello transnazionale. Occorrono investimenti sui contenuti e sulle tecnologie. Certo, quando Arte si presentacome “tv culturale europea”, con titoli offerti in sei lingue, italiano compreso ed è un’azienda franco-tedesca finanziata dai due Stati (e non dai servizi pubblici), si capisce quanto l’Italia sia rimasta agli ultimi posti della carovana audiovisiva europea, avendo perso anni a prorogare norme. licenze e assetti basati su pochi interessi privati, con bassa capacità di sviluppo e penetrazione in altri mercati linguistici e in altri Paesi. L’Italia ha moltiplicato stipendi e dirigenti, Rai in testa, in misura proporzionalmente opposta alla moltiplicazione dei pubblici, delle idee e delle risorse a disposizione dei contenuti italiani. Ora i barbari sono arrivati, forti anche delle serie coreane, e a cercare di limitare la loro conquista di abbonati e pubblicità resta per ora solo l’asse franco-tedesco, indebolito però da Antitrust nazionali che ben poco possono nei confronti dell’IP TV. E resta Mfe, forte della presenza in Spagna, che apre le porte linguistiche ai paesi sudamericani, Brasile escluso. Mfe presente in Germania, non senza contrasti, da qui il cambio dell’amministratore delegato di Prosiebensat e più volte respinta in Francia. Le difese nazionali, “sovraniste”, rischiano non di limitare ma di aprire la strada ai colossi multinazionali, bloccando le alleanze tra gruppi europei.