Ci sono almeno due solide argomentazioni che differenziano sostanzialmente i termini di quanto avvenuto nei giorni scorsi rispetto ai ricambi di vertice passati. La prima è di carattere strettamente costituzionale. Ricostruiamo anzitutto quanto successo con le “dimissioni” di Carlo Fuortes da Viale Mazzini. Sono avvenute anzitutto in un contesto politico radicalmente diverso da quelli precedenti che hanno portato alla sua stessa nomina e del suo predecessore Fabrizio Salini. Per i precedenti CdA, la loro investitura è avvenuta nel pieno quadro normativo previsto dalla Legge anzidetta e non ha richiesto particolari “forzature” come invece è avvenuto in questo caso.
Nella fattispecie che ha portato alla nomina di Roberto Sergio è avvenuto un fatto inedito, anomalo e di dubbia legittimità costituzionale. Si è letto, da mesi, che il Governo Meloni avesse in mente di “riappropriarsi” della RAI, ovvero della sua caratura politica troppo sbilanciata a “sinistra” per finalizzarla ad una “narrazione” più vicina alla sua cultura. Se non che, il passaggio della liberazione del posto di Fuortes un anno prima della scadenza naturale sarebbe potuto avvenire solo in due modi: o la sfiducia da parte dell’azionista, il MEF, o attraverso “dimissioni” più o meno indotte o facilitate da un atto del Governo.
Così è avvenuto: lo scorso 10 maggio con il Decreto Legge n.51 è stata definita una norma con la quale si fa divieto al conferimento di incarichi nelle Fondazioni lirico sinfoniche a persone con oltre 70 anni. L’obiettivo, non dichiarato ma sostanzialmente ben definito, è stato rimuovere il sovrintendente al Teatro San Carlo di Napoli, Stéphane Lissner, per fare posto al “dimissionario” Fuortes. Il DL del Governo Meloni però poggia su un vizio capitale: sembra del tutto privo dei requisiti di necessità e urgenza dichiaratamente previsti dall’art. 77 della Costituzione. Come e perché Mattarella lo abbia controfirmato è oscuro e sarà compito di un eventuale ricorso alla Corte Costituzionale chiarirlo dove peraltro, sia detto per inteso e per estremo paradosso, potrà essere sollevato da uno “straniero in Patria” come è appunto Lissner. Non meno oscure le motivazioni con le quali Fuortes si è dimesso: se è vero, come ha denunciato, che da tempo si era abbattuta una tempesta politica intorno al suo nome e all’Azienda, nessuno gli impediva di denunciarlo subito e tantomeno di ribadire, qualora lo avesse ritenuto tanto necessario, che lui sarebbe rimasto al suo posto fino al compimento del mandato.
La seconda argomentazione che marca la “novità” di questa Nuova RAI è di carattere marcatamente politico, e si riferisce alla “designazione” del nuovo Direttore Generale che nasce e si sviluppa in ambito mediatico, supera la norma della Legge 220 per entrare nel pieno ambito della ingerenza governativa per quanto, da tempo, si leggeva che la Meloni avesse in mente un suo “uomo” designato a guidare la RAI nel prossimo futuro.
Dall’approvazione del DL n. 51 in poi, la valanga che investe Viale Mazzini prende forma e si arriva, nel giro di poche ore, alla nomina di Roberto Sergio come nuovo AD RAI che viene eletto dal CdA grazie al voto della Presidente Marinella Soldi congiunto a quello favorevole dei due consiglieri di riferimento della maggioranza Agnes e De Blasio. A questo punto avviene il secondo atto di dubbia legittimità normativa sulla quale è necessario porre attenzione. Sergio, come si legge in una nota ADN, ha “… comunicato di voler affidare a Giampaolo Rossi il ruolo di Direttore Generale Corporate…” .
Necessario tornare alla Legge 220 che esplicitamente definisce una nuova figura alla guida della RAI, l’Amministratore Delegato, in sostituzione della precedente figura di Direttore Generale (art. 2, comma 10). La “ratio” della Legge è molto chiara. Se il legislatore ha eliminato dalla struttura di governance della RAI la figura del Direttore Generale ciò significa che non potrebbe essere reintrodotta per volontà dell’ AD se non immaginando un direttore generale pari ai dirigenti di primo livello con procura molto limitata rispetto sia al ruolo classico del direttore generale sia al ruolo che Rossi si aspetta svolgere nella nuova RAI.
Si tratta di un vincolo di “legittimità” normativa cioè di corrispondenza e conformità alla norma (assegnare i poteri dell’ex DG all’AD senza poterli ulteriormente delegare ad un nuovo DG) che la Rai quale soggetto pubblico e tenuta ad osservare non potendo invocare di agire nell’ambito della semplice “liceità” principio che consente tutto ciò che non sia espressamente vietato riferendosi alla sfera privata, non disciplinata da leggi ad hoc come invece è la Legge 220.
Il tema è stato pure sollevato in chiave più propriamente politica dalla consigliera RAI Francesca Bria, in quota PD, laddove su Repubblica ha dichiarato che “Ieri stesso, non appena eletto, l’amministratore delegato ha inoltre immediatamente indicato la nomina del direttore generale Giampaolo Rossi. Da settimane la stampa fa riferimento ad un presunto patto fra i due che implicherebbe fra un anno l’inversione dei loro ruoli. La domanda d’obbligo è chiedere se questo patto esista realmente e con quale legittima autorità sia stato stipulato ”.
In sostanza, il nuovo AD, come primo atto del suo nuovo governo dell’Azienda entra a piedi pari in un ambito molto problematico dove si profilano diversi ambiti conflittuali. La stessa Legge 220 e allo stesso articolo, comma C, prevede che l’AD “provvede alla gestione del personale dell’azienda e nomina i dirigenti di primo livello, acquisendo per i direttori di rete, di canale e di testata il parere obbligatorio del consiglio di amministrazione”. Ora appare del tutto tautologico che un DG, per definizione “generale” dovrebbe porsi al di sopra di coloro che dovrebbe “dirigere” e quindi i direttori che si dovrebbero nominare (reti, testate, strutture). Allora come potrà essere possibile che a questa complessa fase di prossime quanto necessarie nomine possa avvenire senza che la stessa nomina del DG sia sottoposta al parere obbligatorio del CdA RAI?
La precedente esperienza della consiliatura Salini ha fornito elementi di riflessione interessanti: anche lui, interpretando a suo modo, la legge 220, nominò un suo uomo di fiducia, Alberto Matassino (noto per essere stato in precedenza direttore amministrativo di una società di produzione audiovisiva tutt’ora tra i fornitori RAI) del quale non sono mai state rese note le deleghe operative. Anche lui, come altri esterni, non sembra aver lasciato tracce memorabili del suo passaggio e forse proprio in virtù della confusione normativa sui suoi poteri, competenze e responsabilità.
Ora il problema per Sergio e per Rossi si pone in termini di quali deleghe gli potranno venire assegnate e quindi quanta “sovranità” l’AD dovrà o vorrà cedere al DG in attesa di quando, come si prevede e per quanto letto durante tutti questi mesi, il prossimo anno gli dovrà cedere il posto. Quali competenze, quale ruolo, quale potere decisionale potrà avere Rossi e chi lo potrà conferire? È sufficiente la sola “indicazione” dell’AD o saranno necessari passaggi obbligatori in Cda che, come abbiamo visto con la nomina di Sergio, potrà assumere una “geometria variabile” a seconda di convenienze e opportunità politiche che sembrano, sempre più, essere tutte esterne al governo del Servizio Pubblico. Siamo alle porte di una importante stagione di nomine: come verranno ripartiti tra AD e DG le rispettive zone di influenza e interesse che potrebbero pure non coincidere?
Infine, da sottolineare, un passaggio rilevante delle recenti dichiarazioni di Giampaolo Rossi dove è andato a toccare il nervo più scoperto dell’Azienda: le risorse provenienti dal canone. Nei giorni scorsi, il 10 maggio, infatti, ha sostenuto sulle pagine del Corriere che “Il primo anno bisognerà mettere in sicurezza l’azienda: senza canone, si ricorrerà alla fiscalità generale, non certo alla pubblicità”. Dovrebbe essere un compito che dovrebbe essere di stretta competenza dell’AD e non del DG. Non sfugge poi a nessuno che una proposta del genere, in altri termini, pone la RAI sotto il controllo totale del Governo.
Il tema canone è emerso con tutta la sua rilevanza nella recente audizione in Vigilanza RAI dove si confrontano diverse ipotesi che spaziano dalla fiscalità generale alla sua abolizione progressiva come proposto dalla Lega mentre, sullo sfondo, rimangono ancora fumosi e indeterminati i grandi nodi che si dovranno presto sciogliere come il Contratto di Servizio e la questione RAI Way. L’Azienda, nel recente incontro con le organizzazioni sindacali che avevano messo in cantiere uno sciopero generale previsto per il 26 maggio, si è impegnata ad affrontarli. Come e quando non è dato sapere. Lo sciopero intanto è stato revocato.
Ecco il giro di boa che si sta completando. Ecco la diversità e la radicale differenza con quanto avvenuto prima. Ecco il nuovo panorama, inquietante, che si profila all’orizzonte RAI.