Ma davvero appare cosi eccentrica e metallica l’idea di una calcolabilità delle emozioni multimediali che ci costringe a ripensare i modelli industriali e professionali? O piuttosto è l’indotto di controllo e condizionamento sociale che rivela l’aspetto autoritario del fenomeno? E in realtà quando parliamo di automatizzazione della comunicazione a quale percorso ci rifacciamo?
Aveva appena mandato in tipografia la sua opera più visionaria – Le Città invisibili – che Italo Calvino, siamo alla febbrile vigilia del mitico 68, si impegna in un ciclo di conferenze che non a caso tocca le grandi città operaie del tempo : Genova, Milano e Torino. Si cimenta in questa occasione con un tema che allora sembrò oltre i confini della fantascienza, più o meno come oggi: Cibernetica e fantasmi. Appunti sulla narrativa come processo combinatorio.
Già il richiamo alla cibernetica, in quella stagione prettamente manifatturiera, non lasciava spazio a incertezza e ambiguità: lo scrittore stava pensando proprio all’automatizzazione, allora allo stato nascente, delle funzioni di narrazione, includendo nell’attività che sarebbero state automatizzate anche l’ispirazione dell’autore.
“L’uomo – spiegava Calvino – sta cominciando a capire come si monta e rimonta la più complicata e la più imprevedibile di tutte le macchine :il linguaggio. Avremo la macchina capace di sostituire il poeta e lo scrittore, di ideare e comporre poesie e romanzi ? Penso a una macchina scrivente che metta in gioco tutti quegli elementi che siamo soliti considerare i più gelosi attributi dell’intimità psicologica, dell’esperienza vissuta, dell’imprevedibilità degli scatti d’umore, i sussulti e gli strazi e le illuminazioni interiori. Che cosa sono questi se non altrettanti campi linguistici di cui possiamo benissimo arrivare a stabilire lessico, grammatica, sintassi e proprietà permutative?”.
Difficile non scorgere in questa dettagliata e preveggente descrizione un meccanismo che oggi non possiamo non identificare con Chat GPT e dintorni. Una visione la sua che, per la biografia dell’artefice, non possiamo certo ascrivere ad un integrato smanettone ante litteram. Il suo profilo ci impone un’attenta rivalutazione di quella intuizione, soprattutto per capire su cosa poggi l’attuale contaminazione fra informatica ed emozioni che sta irrompendo nel sistema dell’affabulazione audiovisiva.
Calvino si concentra sull’operazione essenzialmente matematica sottesa al processo combinatorio – termine che ci riporta alle elucubrazioni magiche rinascimentali di Alfredo Lullo e Giordano Bruno, e che oggi definiremmo “generativo”- della letteratura. E si appoggia alla teoria dell’informazione, come teoria inglobante. “La letteratura è riconducibile – aggiunge l’autore per non lasciare dubbi – a combinazioni tra un certo numero d’operazioni logico-linguistiche o meglio sintattico-retoriche, tali da poter essere schematizzate in formule tanto più generali quanto meno complesse”.
Questo lungo ma spero non noioso, excursus letterario, che ho fatto prendendo in ostaggio Calvino ,mi dovrebbe aiutare ad inquadrare la tesi che voglio proporre alla discussione come ipotesi di ricerca non certo enunciato, sperando che anche Chat GPT ne validi l’assunto e la finalità.
In sostanza, il tema che vorrei approfondire con una comunità quale la nostra, fortemente radicata nel mondo della comunicazione multimediale, sia nell’accezione narrativa che in quella informatica, riguarda la possibilità di afferrare le modalità dell’impatto socio politico delle nuove opportunità dell’intelligenza artificiale attraverso una decifrazione del nuovo processo di produzione dell’immaginario audiovisivo. E di poterne individuare gli spazi e le condizioni concrete per governare e riprogrammare questa trasformazione limitando il rischio che si risolva in un asettico fenomeno di asservimento a poteri proprietari.
Ci ricordava per questo Alan Turing che l’innovazione la troviamo sempre lungo uno stretto crinale che divide la tecnologia dalla disubbidienza. Un esempio di innovazione che oscilla fra determinismo e visione critica lo rintracciamo nell’intervento del garante della Privacy che ha sospeso l’attività di Chat GPT per il suo uso indebito dei dati sociali. Al di là della discussione su ambizioni o velleità del pronunciamento, innegabilmente l’Authority italiana coglie un aspetto che da una luce particolare proprio all’evoluzione dell’industria culturale: l’appropriazione dei dati esperienziali. Un uso indebito che certo non è solo e neanche principalmente di Chat GPT, ma condivisa con ben altri service provider, come Google,Amazon e Facebook, fra gli altri. Dunque semmai si dovrebbe rimproverare un’eventuale inerzia istituzionale più che un bellicoso burocraticismo.
Comunque nel merito dell’intervento troviamo un tema ineludibile che riguarda la proprietà e l’uso legittimo di queste informazioni: di chi sono e chi le può utilizzare a proprio ed esclusivo vantaggio? E ancora: questi dati possono essere usati per rendere più pervasivi e penetranti messaggi e relazioni con ogni singolo individuo che viene raggiunto, a sua insaputa, esattamente con i toni e i contenuti che lui ha mostrato di gradire? Stiamo parlando di meccanismi tipo Cambridge Analytica che con i nuovi formati delle relazioni digitali di cui l’evoluzione di Chat GPT ne è un esempio, diventano più insinuanti e aggressivi, ed assumono la potenza di un media di massa, quale il cinema e la TV.
Su questo torneremo, ma il punto che ora mi sembra più utile approfondire riguarda le conseguenze di questo “processo combinatorio” per rimanere all’espressione di Calvino, nella formattazione dell’immaginario. Ci troviamo in uno snodo teorico dove l’estetica diventa etica.
Rispetto agli anni di Calvino, in cui si intuiva una tendenza antropologica, ma non se ne poteva materialmente comprenderne la realizzazione, oggi abbiamo piena disponibilità di questa capacità globale in ragione di una straordinaria calcolabilità dei dati. Siamo nell’epoca dei Zettabyte (1 Zettabyte = 1021 byte = 1 triliardo di byte, l’equivalente di 36 milioni di anni di video in alta definizione!).
Abbiamo varcato la soglia per cui la massa dei dati processabili esaurisce l’alea di incertezza, la discrezionalità degli eventi, in cui si dibatte la ragione e si accende la creatività, applicando il metodo probabilistico tipico della cultura del secolo scorso.
Basti pensare che ormai largamente più di tre miliardi di individui hanno oggi accesso regolarmente a Internet, e in ogni minuto, sono valori riferiti al giorno in cui stiamo scrivendo, si stima che in Youtube vengano caricati trecento ore di nuovi video, prodotti 350 mila Tweets su Twitter, postati 4,2 milioni di posts su Facebook, 1,7 milioni di foto su Instagram, 110 mila calls in Skype, eccetera. Mediamente, negli ultimi 30 anni i dati generati sono quadruplicati in un lasso di tempo inferiore ai tre anni!
Ogni trentasei mesi si moltiplica per quattro l’archivio dei contenuti prodotti dall’umanità fin dalla sua nascita. Vi pare che in questa docusfera, come la definisce Maurizio Ferraris, la creazione di immaginario possa rimanere quella affermatasi nel tempo della penuria di contenuti in cui si cercava per sensibilità o per intuito di agganciare il senso comune di larghe masse?
Ed è naturale che chi disponga di questi strumenti di calcolo per interpretare e ottimizzare questa entità di informazioni , così capillari e significative, possa rendere coerenti e discreti i messaggi e i contenuti audiovisivi nominativamente per grandi platee di utenti , usando questo potere per dotare i suoi prodotti di un’attrazione socialmente irresistibile.
In poche parole: se l’immaginario perde la suggestione dell’inedito ma come immaginato acquista l’irresistibilità di una piena adesione dell’intima personalità dei suoi destinatari, allora questo sistema multimediale non è più una straordinaria e magica macchina dei sogni ma diventa un pianificato ed efficiente apparato di controllo sociale , dove lo spettacolo è pretesto e noi siamo la merce.
Ritroviamo, riviste e corrette, le categorie analitiche dei francofortesi che analizzavano, nel pieno dopoguerra, gli effetti di una potente e già collaudata industria culturale, che proprio la guerra avrebbe diffuso e condiviso, mentre oggi noi ci interroghiamo su modi e forme per una possibile neutralizzazione di questo dominio, che lo scomparso Remo Bodei nella sua ultima opera- Dominio (Feltrinelli)- definisce come la degenerazione sociale di una delle più potenti scienze umane.
In questo dualismo, emancipazione versus sorveglianza, potremmo dire con Shoshanna Zuboff, abbiamo di fronte due sistemi valoriali che vengono attraversati dalla potenza di calcolo: il decentramento all’individuo di attività complesse che abilitano le persone a produrre e non solo consumare, a fronte di una privatizzazione monopolista della risorsa esperienziale prodotta dall’umanità che concentra in poche mani la capacità di orientare l’elaborazione dei dati nella produzione multimediale.
Nel giornalismo, come sappiamo, si sta già dispiegando da almeno 20 anni un processo di integrazione fra informazione e informatica, che vede aumentare a dismisura la produzione di giornalismo a fronte di una riduzione drastica di giornalisti.
Una forbice in cui si colloca il processo di automatizzazione della raccolta e diffusione dei contenuti prodotti dai dilettanti potremmo dire, riassumendo nella categoria l’insieme di testimoni, commentatori e utenti di sistemi social, in virtù dell’ambizione ormai condivisa globalmente di ognuno di noi di essere coproduttore della propria informazione.
Una spinta universale questa che rende la rete e i suoi strumenti di profilazione degli utenti – motori di ricerca, piattaforme social, app, memorie, software editoriali e di editing- come una grande e condivisa fabbrica editoriale, dove il mediatore non è più il professionista, ma il proprietario degli spazi web.
In questa mediamorfosi, i linguaggi del giornalismo vengono riclassificati da quelli della rete.
Come documenta nel suo fondamentale testo Mercanti di Verità ( Sellerio ) Jill Abramson, ex direttrice del New York Times “ gli stili e i comportamenti di Buzzfeed hanno condizionato e guidato la riorganizzazione delle grandi redazioni americane”.
La stessa guerra in Ucraina, come provo a ragionare nel mio libro Net War: in Ucraina il giornalismo sta cambiando la guerra ma la guerra ha cambiato i giornalisti (Donzelli) vediamo come l’intero sistema comunicativo- carta stampata e tv- sia tributario dell’articolazione delle forze che si misurano in rete combattendo direttamente con gli strumenti dell’informazione: il giornalismo cessa di essere pura propaganda e diventa logistica militare.
Naturalmente in questo processo si deformano completamente i concetti di trasparenza e verità, che vengono sostituiti da verosimiglianza e riproduzione. La tecnica rende ormai ogni fatto attribuibile a fonti diverse a contrapposte, tutte apparentemente autentiche e fondate, costringendo chiunque voglia trovarne la reale origine ad un duro lavoro di analisi e ricostruzione tecnologica. In questo passaggio , come dicevo prima, l’informazione si intreccia e ricompone con l’informatica anche nella versione giornalistica.
La visualizzazione di questi linguaggi, tramite tutta la gamma degli schermi che ci avvolge, sta sperimentando nuove soluzioni e combinazione fra reale e virtuale. La somma dei diversi software come ChatGPT4 e Dall-E, il primo motore di ricerca creativo , come viene ora denominato per la sua capacità di rintracciare ragionamenti e descrizioni, il secondo traduttore di testi in video, ci danno una nuova frontiera del ciclo audiovisuale.
Gli effetti speciali di Avatar o Matrix, diventano oggi narrazioni aumentate, dove tutti i passaggi produttivi – dal primo concept, al soggetto, alla sceneggiatura, alle tracce di regia ai piani di montaggio, fino alla post edizione , distribuzione e promozione- è elaborato e condotto mediante una partnership sempre più estesa con l’intelligenza artificiale che accorcia, fino a rendere un’unica attività, tutte le funzioni e incombenze artigianali.
Questo è il nuovo mercato dell’immaginato, dove si producono innovazioni inedite proprio mediante la possibilità di decentrare all’agente intelligente le attività di realizzazione, anche quelle più delicate e artigianali, e concentrando le funzioni autoriali sulle caratteristiche del soggetto e le tonalità del racconto.
Una spartizione in cui poche sfumature determino il prevalere degli aspetti etici e semantici della macchina rispetto al ruolo residuo dell’autore.
Una tendenza che non ha nulla di distopico ma ci parla di un conflitto politico moderno, così come nel dopoguerra ne parlavano al mondo della fabbrica proprio i teorici di Francoforte che individuarono subito il consumo, più che la manifattura, come vera leva per ridisegnare le gerarchie sociali.
Oggi nel circuito audiovisivo si affaccia una nuova contraddizione in cui il campo si divide fra calcolanti e calcolati, fra chi conserva accesso al governo etico ed estetico dei sistemi di produzione multimediale e chi invece ne diventa semplice funzionario.
Il sovvertimento di un destino di subalternità diventa, ancora una volta nell’industria culturale, una frontiera in cui riqualificare le professioni oggi emarginate dei mediatori e degli autori, dando nuova missione ai segmenti industriali pubblici.
Pensiamo in Italia alla Rai, ma anche al sistema degli archivi audiovisivi- il regno dell’immaginato- e dei musei come possano ripensare a formule organizzative ed ad architetture produttive per emanciparsi dagli standard di controllo e subalternità culturale.
Il considerare la dotazione di capacità di calcolo, di algoritmi, di spazi di memoria autonomi e sovrani è oggi una delle voci di una missione pubblica che potrebbe distinguere il grano dal miglio, le opportunità di liberazione che l’automatizzazione conserva nel suo codice genetico dalla distorsione di un dominio unilaterale.
E’ una pista di ricerca e di riqualificazione di funzioni e apparati che giustifica il ruolo di una nuova generazione di interpreti e di autori ricordandoci che Calvino, come scrittore, colse persino prima degli ingegneri quella opportunità , e non era un caso.