Il passaggio ad MPEG4 dal 20 dicembre e quello definitivo al Dvb T2 nel 2023 come sono vissuti ed affrontati dall’azienda Rai? Vi è una formazione trasversale, organizzativa ed editoriale, dell’intera azienda sul linguaggio offerto dall’UHD HDR? La nuova televisione, in altre parole, porterà anche a nuovi contenuti? Il 4K sul DTT è un passaggio effimero oppure è un preludio di un cambiamento sostanziale?
L’abbandono definitivo della codifica Mpeg2 rappresenta un momento importante per la Rai in quanto è anche l’occasione per introdurre una serie di migliorie scaturite dall’esperienza di questi primi mesi di attuazione del nuovo PNAF, in particolare sul multiplex macroregionale che indubbiamente soffre il fin qui mancato passaggio al DVB-T2. L’uso dei canali ibridi rappresenta una risposta parziale e transitoria a questa carenza, che abbiamo voluto comunque attuare per mantenere un livello tecnologico elevato di offerta: attraverso i canali ibridi sono stati ripristinati servizi non diversamente disponibili ed è stato introdotto il canale Rai Radio 2 visual con utilizzo di LCN dedicati. Ora in tale modalità avremo anche la possibilità di distribuire i mondiali di calcio in 4K, con quella che definisco una “sperimentazione di massa evoluta” che ci fornirà importanti metriche sul reale comportamento delle reti broadband, dei servizi di CDN in live-streaming e dell’accesso domestico alla risorsa internet.
Gli aspetti relativi alla componente editoriale non rientrano ovviamente nelle competenze del CTO, ma registro un significativo entusiasmo interno collettivo rispetto a queste “abilitazioni digitali” che stiamo introducendo. Specificatamente sul tema DVB-T2 posso dire dal punto di vista tecnico è che la RAI è in condizione di affrontare il passaggio al T2 in qualunque momento (le reti broadcast di cui disponiamo sono già da tempo tutte in tecnologia duale T/T2) e siamo in grado di affrontare gli scenari più disparati: la scelta in questo caso è preminentemente legata al reale parco ricevitori DVB-T2 presente presso le famiglie italiane.
E’ in corso un’istruttoria dell’Agcom sulla questione della prominence sui telecomandi dei televisori. Qual’è il punto di vista della direzione tecnologie della Rai?
Il punto di vista dell’area CTO è incentrato su due cardini:
- In considerazione della crescente centralità nella modalità di consumo degli utenti dell’ambiente c.d. “smart” delle Tv connesse, dove è possibile accedere – tra gli altri – ai servizi OTT degli operatori globali, l’area CTO RAI -oltre ad aver declinato RaiPlay per ciascun ambiente , ed avere in programma lo stesso percorso per RaiPlay Sound- ritiene che sia inoltre necessario rendere preimpostato di default il collegamento ai servizi OTT del servizio pubblico in posizione di contiguità rispetto ai competitor. Infatti già oggi l’area tecnica Rai ha concluso accordi di posizionamento per garantire adeguata prominence a RaiPlay, ma è auspicabile che Agcom renda obbligatoria per i produttori di smart tv (e di dispositivi di ricezione assimilabili a smart tv) l’adeguata esposizione dei collegamenti ai servizi OTT di interesse generale in Italia, fra cui ovviamente vanno annoverati quelli offerti dal servizio pubblico.
- Si auspica che sia rispettato l’attuale regime di numerazione automatica dei canali (LCN): infatti si sta di recente assistendo alla proliferazione di offerte editoriali lineari ibride, caratterizzate dalla commistione di servizi broadcast e IP secondo un ordinamento stabilito dal gestore della piattaforma (il gatekeeper) sulla base di logiche puramente commerciali; pertanto, ferma restando la libertà del gatekeeper di ampliare l’insieme di funzionalità finalizzate ad arricchire l’esperienza d’utente, è necessario garantire la preminenza dello schema regolamentare attualmente adottato per la numerazione dei servizi lineari diffusi tramite broadcast terrestre, rispetto a eventuali meccanismi di ordinamento di canali addizionali proposti dal gestore della piattaforma.
La questione frequenze per la Rai e per l’Italia può dirsi risolta o vi sono ancora criticità? E’ possibile che il MISE (ora MIMI) rilasciata la 700 MHz abbia abbandonato i broadcasters a se’ stessi per il T2?
L’obiettivo primario del MISE era giustamente quello di rispettare gli accordi europei di liberazione della banda 700 MHz entro il 30 giugno, ma come detto la mancata attuazione per legge della conversione integrale di tutte le reti, nazionali e locali, in DVB-T2 si sta riflettendo per tutti in una serie di criticità, più o meno significative, che colpiscono parte dell’utenza. Sono convinto che qualcosa di positivo potrà accadere all’inizio del 2023. Ora però il tema di maggiore attenzione è la preparazione della WRC23 dove si potrebbero purtroppo mettere le basi per un ridimensionamento ulteriore del broadcast e, di conseguenza, dei servizi pubblici europei. La RAI è in questo senso fortemente impegnata a supporto del MISE per far sì che emerga una forte posizione comune europea che recepisca le esigenze del broadcasting terrestre nazionale.
Quali saranno gli effetti per la Rai e i broadcaster da una parte della Rete Unica delle Tlc, dall’altra dell’avvento del 5g? Quale strategia segue il servizio pubblico per l’offerta in streaming?
Quando si parla di offerta in streaming (che RAI non può che realizzare attraverso l’uso di infrastrutture broadband terze, indipendentemente dal futuro di scelte di sistema come la Rete Unica, ovvero di pervasività tecnologica come il 5G) bisogna evitare un errore piuttosto comune, ovvero intendere la strategia di distribuzione su protocollo IP come un “riversamento” sul web di quanto proposto, per decenni, sul broadcast. I dati di consumo, infatti, mostrano una lenta ma costante contrazione della platea televisiva “tradizionale”, specialmente nel prime time, a favore di forme di fruizione alternative. Pertanto, pensare di contrastare i processi di distribuzione in atto con l’applicazione di strategie mutuate dal passato, ovvero il lancio di nuovi canali lineari, siano essi distribuiti in LCN aperte (es. DVB-I) sia in liste canali gestite verticalmente dai gatekeeper, risulta del tutto inefficace ad intercettare le mutate esigenze di fruizione. È necessario inoltre chiarire in che posizione un broadcaster tradizionale, e in particolare un servizio pubblico, debba porsi nei confronti degli OTT globali: la sproporzione delle forze in campo fra player sovranazionali e soggetti locali, specialmente nella produzioni di contenuti originali e nella dotazione infrastrutturale, potrebbe indurre a pensare che la competizione sia persa in partenza, soprattutto nella fascia pregiata del prime time. Tuttavia, la specificità di un broadcaster classico, e in particolare di un servizio pubblico, suggerisce di sfruttare al massimo le capacità tecnologiche per puntare ad una strategia di distribuzione alternativa, che punti a guidare la customer journey dell’utente dal momento del risveglio sino al termine della giornata. Affinché una strategia di questo tipo possa risultare efficace occorrono principalmente due condizioni:
- Presenza capillare dei servizi Rai (RaiPlay, RaiPlay Sound, Rai News) negli ecosistemi dominanti sul mercato, in posizioni di prossimità e prominence rispetto ai competitor, supportati da una infrastruttura di distribuzione capace tanto di lavorare su volumi crescenti quanto su picchi estemporanei; ed embedding del player Rai in siti gestiti da terzi.
- Nel rispetto dei consensi rilasciati e della normativa vigente e futura, valorizzazione delle esperienze di consumo storiche e contestuali degli utenti al fine di creare customer journey personalizzate, variamente declinate fra entertainment e informazione.
Come la Rai sta preparandosi al Metaverso e agli universi virtuali?
Il tema Metaverso è sicuramente di grande attualità e sta acquisendo rilevanza nelle strategie di medio e lungo periodo delle aziende, ma è altrettanto evidente che -nelle sue molteplici declinazioni (sebbene non sia corretto parlare di più metaversi, in quanto si configura come entità logica unica)- ciascun soggetto debba chiaramente definire gli obiettivi da perseguire in coerenza con la propria mission e comprendere quali elementi della catena del valore può, nell’immediato o in una fase successiva, presidiare. Come di consuetudine, l’area tecnologica Rai sta raccogliendo le indicazioni provenienti dalle strutture editoriali per la definizione di casi d’uso concreti e la conseguente evoluzione dell’infrastruttura tecnologica di produzione e distribuzione. Sebbene secondo alcune stime (McKinsey) entro il 2030 almeno il 50% degli eventi live avverrà nel metaverso, tuttavia questo fenomeno non si dispiegherà “in salti quantici”, al contrario la convergenza verso i modelli di business che nel tempo si consolideranno richiederà un approccio prudente e fatto di piccoli passi, con a valle un’attenta valutazione di ciò che avrà confermato le attese e ciò che invece richiederà riflessioni aggiuntive. In questa fase iniziale del progetto vediamo principalmente due campi di applicazione:
- Iniziative a supporto delle campagne social, finalizzate a incrementare il coinvolgimento della platea in occasione di grandi eventi: la crisi pandemica, sebbene ormai ampiamente sotto controllo, ha modificato irreversibilmente alcune abitudini di interazione sociale, che ormai trovano la propria sede di elezione nel web. Il senso di immersività e il decentramento computazionale -che le tecnologie alla base del concetto di metaverso offrono- permetteranno di condividere un determinato evento a caratterizzazione preminentemente live (es. partita di calcio) con la propria cerchia di conoscenti indipendentemente dalla collocazione fisica delle persone, incrementando l’engagement e la fidelizzazione dell’utenza.
- Arricchimento di prodotti audiovisivi a connotazione culturale ed educational: ancora, il senso di immersività consentirà di esplorare nuove modalità di proposizione, con effetti positivi sull’attrattività di questo genere di contenuti.
Nell’esplorare le possibilità del metaverso come precedentemente ipotizzato, dovranno essere valutati aspetti di natura tecnologia – nello specifico quanto un broadcaster tradizionale possa essere “autarchico” nel dispiegamento della propria strategia o se debba ricercare alleanze industriali- e di natura etica – è necessario creare un ambiente sicuro in termini di gestione dei dati e di protezione dell’esperienza d’utente, con particolare attenzione ai minori.
Rai Way sta sviluppando la CDN di proprietà Rai. Quando sarà operativa? Avrà caratteristiche differenti dalla CDN degli operatori globali?
Mi permetto di rispondere in modo più ampio: nello scegliere una strategia in termini di “servizi di CDN” è indispensabile partire dalla profilazione puntuale della propria utenza, dalle caratteristiche geografiche e temporali della complessiva richiesta di traffico, dalla capacità di saper leggere le differenze fra esigenze tecnico-gestionali e di livello di servizio legate ai contenuti live e quelli on-demand, e soprattutto dai costi di gestione, tutti elementi che diventano fondamentali per valutare la strada più opportuna da seguire. In questa logica, la scelta fra CDN privata e commerciale non deve essere considerata il punto di partenza bensì quello di arrivo di un percorso che tenga come detto sommamente in conto la compenetrazione delle esigenze degli utenti, della coerenza rispetto alle scelte editoriali e del governo dei costi.
E non dobbiamo mai dimenticarci di osservare con attenzione quello che avviene all’estero, almeno nel resto d’Europa, dove alcuni fenomeni si sono già verificati In particolare, quello che desta maggiore attenzione è lo sviluppo broadband della tipologia di servizio “linear”, tipica delle piattaforme broadcast tradizionali e componente essenziale del servizio pubblico televisivo (in genere, invece, ci si è fin qui concentrati sull’analisi ai contenuti Live/VoD caratteristici del mondo OTT dove per “live” si intente il singolo evento come un concerto o una partita di calcio e non un flusso 7/24) . Questo aspetto è invece estremamente rilevante se si considera che il prossimo futuro dei PSM sarà segnato profondamente d una migrazione significativa della diffusione audio/video dalle piattaforme tradizionali broadcast a quella IP. Appare dunque opportuno considerare quale futura architettura CDN sia maggiormente appropriata a garantire gli stessi livelli di servizio delle piattaforme broadcast attuali, con particolare riferimento alla diffusione dei contenuti “lineari generalisti”.
Un interessante report dell’EBU pubblicato recentemente fornisce utili indicazioni sulle “best practice” a livello internazionale, dalla cui analisi emerge che, sebbene nessuna soluzione sia inequivocabilmente la migliore, non si può prescindere dall’adottare una opportuna ibridizzazione fra componenti commerciali e asset proprietari di rete. Da ciò deriva la necessità di valutare sia da un punto di vista strategico che tecnico le diverse modalità di differenziazione architetturale adottabili per la gestione dei contenuti live & linear generalisti e tutto il resto del mondo tematico e on demand, in linea con le scelte ibride e multi CDN che ritroviamo nel panorama internazionale.
Al momento, possiamo considerare definitiva e coerente con quanto detto la nostra scelta di avvalerci di un’architettura multi-CDN, lasciando a tempi successivi l’eventuale discussione se avvalerci o meno di una rete privata, magari di dimensioni contenute come parte dell’architettura multi-CDN e destinata prioritariamente a “buffer” tecnologico durante eventi di grande ascolto.
La suggestione comunque di promuovere, nell’ambito di un progetto di Rete Unica che coinvolgesse anche i broadcaster, la presenza di un soggetto Neutral Host aggregatore e supervisore di servizi di CDN dedicati al mondo del broadcasting nazionale che potrebbe efficientare i costi complessivi da sostenere da parte dalle componenti dell’ecosistema televisivo per lo sviluppo di tale tipologia di servizi rimane tra gli argomenti più importanti di interesse per l’area CTO RAI.
Quali saranno gli sviluppi tecnologici che state preparando per Radio Rai? C’è una relazione tra la chiusura dell’Onda Media ed il nuovo piano DAB?
Con la ormai prossima assegnazione delle frequenze destinate alle reti nazionali Dab di recente pianificazione la RAI disporrà finalmente degli asset necessari ad uno sviluppo efficace del servizio Dab, per il quale sono già state assegnate all’area CTO importanti risorse economiche per affrontare i relativi investimenti. Questo non ha alcuna correlazione con l’abbandono definitivo dell’Onda Media, indotta dall’evoluzione tecnologica di altri mezzi trasmissivi di migliore qualità, dall’evoluzione del parco dei ricevitori, dall’obsolescenza infrastrutturale e dalla rarefazione dell’ascolto, come d’altronde era stato previsto all’interno di un piano di razionalizzazione da noi proposto e approvato dal MiSE molti anni fa.
La Rai ha le professionalità adatte alle sfide digitali? O ne occorrono di nuove e più avanzate?
“Governare” la Trasformazione Digitale è cosa diversa che “farvi fronte”: molte delle nostre attività tecniche “core” sono cambiate negli ultimi due anni, e alcune nuove sono apparse e dobbiamo essere in grado di gestirle efficacemente. In generale siamo molto ben attrezzati su tutto il fronte classico dell’ operatività, mentre siamo in qualche caso meno tranquilli sul lato più propriamente ICT/broadband. Qui stiamo operando con la formazione interna e l’acquisizione di nuove risorse, ma al momento, per forza di cose, lo stile è quello del “fare fronte”. Credo che sia indispensabile essere estremamente flessibili e innovativi sul lato organizzativo, e contemporaneamente assai focalizzati sul rapido rafforzamento dei nostri centri di competenza interni all’azienda per poter avere successo. C’è un forte impegno dei vertici aziendali per consentirci di disporre di competenze evolute e specifiche necessarie al governo della Trasformazione Digitale, in modo da mantenere all’interno dell’azienda il massimo del valore, senza doverci affidare a soggetti esterni.