E’ in corso la guerra della prominence. E’ quella della televisione al tempo degli algoritmi, della Rete, delle app e dello streaming. Va raccontata per capire come cambia la stessa battaglia per il pluralismo, per la concorrenza sul mercato televisivo e come cambia rapidamente questo stesso mercato per l’irruzione di nuovi attori globali.
Nel marzo 2022 Confindustria Radio Televisioni (rappresenta, tra gli altri, Rai, Mediaset e Cairo) scrive al presidente e ai commissari dell’Agcom. Si parte dai Regolamenti richiesti dal nuovo Tusma (era il Tusmar di una volta, la r di radio è stata persa) : il più urgente, secondo Confindustria Radio Tv, è quello relativo alla Prominence.
Spieghiamo di cosa si parla: nel Regolamento andranno definite le indicazioni per la presenza, “agevolmente” accessibile su, tutti gli apparecchi televisivi della numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre. Si chiede preminenza per le tv lineari in chiaro, con la presenza sul telecomando dei numeri ai quali deve corrispondere sul ricevitore la posizione LCN di ciascun canale dei broadcaster terrestri.
Per Confindustria è necessario garantire che sui telecomandi venduti con i televisori siano sempre obbligatoriamente presenti i pulsanti numerici attraverso cui accedere ai canali lineari nazionali, quindi sempre accessibili attraverso un tasto dello stesso telecomando.
Una volta c’era la guerra del decoder unico (che se la ricorda?), quello per il terrestre e il satellitare, non senza incentivi riservati a quelli terrestri per favorire il passaggio al digitale, con tanto di condanna e sanzione in sede europea. Ora vi è la guerra del telecomando unico, quello con i numeri.
Tutto nasce quando il televisore, da scatola vuota per diffondere il segnale diffuso dai ripetitori attraverso frequenze e antenne è diventato un oggetto connesso alla Rete, in grado di gestire e intermediare l’accesso a tutti i contenuti audiovisivi sia on demand sia lineari. Tanto che Confindustria Radio Tv chiede, giustamente, che l’accesso ai servizi dei broadcaster nazionali gratuiti debba avvenire anche a prescindere – direbbe Totò – da ambienti proprietari controllati da chi gestisce il dispositivo televisivo (gli app store) e in modalità non intermediata.
Con delibera 149/22, il 19 maggio di quest’anno, a meno di due mesi dalla lettera di Confindustria Radio Tv, l’Agcom avvia un procedimento concernente la prominence dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di interesse generale e del sistema di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre. Qui si introduce un concetto fondamentale della nuova guerra televisiva: quello di “servizi di interesse generale”. Un considerato delle delibera spiega che l’articolo 7 bis della direttiva sui servizi media audiovisivi prevede che “gli Stati membri possono adottare misure volte a garantire che si dia debito rilievo ai servizi media audiovisivi di interesse generale”. Il legislatore europeo ha preso atto della “rilevanza delle reperibilità dei contenuti”, in un contesto caratterizzato da una vastità e una frammentazione dell’offerta dove non sempre risulta agevole “identificare i contenuti rilevanti per la formazione dell’opinione pubblica”. I fornitori di contenuti multimediali, inoltre, devono essere in grado di rifinanziare la produzione di contenuti di interesse generale, chiude il considerando dell’Agcom.
Si potrebbe quasi parlare della possibilità di imporre una sorta di golden share delle autorità nazionali sul sistema operativo, sul software degli apparecchi televisivi. La battaglia è assolutamente giusta, ma pone alcuni problemi di dettaglio. Il primo: i contenuti audiovisivi non si ricevono solo sull’apparecchio televisivo. Dopo il fallimento dello standard Dvb-h (le cui meraviglie sono state illustrate in molti Prix Italia e vari altri convegni senza che nessuno abbia mai ammesso in seguito di aver sbagliato tecnologia e previsioni) che avrebbe dovuto “portare” i contenuti della televisione lineare sui cellulari – con tanto di remunerativi contratti firmati a vantaggio di alcuni soggetti televisivi a spese di quelli telefonici – oggi sul cellulare posso vedere, ad esempio, una partita trasmessa in streaming da DAZN. La battaglia dovrebbe essere circoscritta agli apparecchi televisivi visto che si parla di LCN del digitale terrestre.
Secondo problema: il concetto di servizi di interesse generale viene mutuato, per la stessa Delibera Agcom, dalla legge 14 aprile 1975, la 103, dove si sanciva il carattere di preminente interesse generale del servizio radiotelevisivo, che “costituisce un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale….”. Era la Rai, quella era la legge della sua riforma. La Delibera, ovviamente, aggiunge che la legge Mammì del 1990, al primo comma dell’articolo 1, estende il carattere di “preminente interesse generale” ai concessionari privati per la radiodiffusione sonora e televisiva. Se fossi della Rai qualche dubbio me lo farei venire, perchè questa è una equiparazione normativa ulteriore e nel 2027 scade la concessione per il servizio pubblico. O la Rai pensa che i tre primi numeri del telecomando le siano dovuti come azienda per grazia ricevuta e si impegna poco anche nella guerra del telecomando?
L’industria dell’hardware, con le Smart tv, dà priorità alle app, ovvero fa accordi, meglio, contratti di licenza con loro, a livello transnazionale. Qui sorge spontanea una domanda; se sono – e sono – servizi di interesse generale, non dovrebbero essere visibili su tutte le piattaforme? O solo su quella digitale terrestre? La Rai, ad esempio, cripta molti contenuti sul decoder di Sky Italia, ricevuti da famiglie che pagano regolarmente il canone attraverso la bolletta della luce (fino ad ora, poi chissà). Contenuti, come le Olimpiadi e gli Europei di Calcio, che sono nella lista della delibera Agcom tra quelli – possiamo dirlo? – di preminente interesse generale e quindi fruibili in “chiaro” da tutti gli utenti non sono visibili da famiglie italiane che pagano il canone. E’ possibile che l’intento del legislatore sia solo quello di preservare la disponibilità e l’accessibilità di “contenuti fruibili tramite piattaforma digitale terrestre” e non anche quelli di servizi nazionali di interesse generale diffusi su tutte le piattaforme?
Agcom, con lettera datata 6 ottobre, ha diffuso un questionario ad una serie di associazioni, con alcune domande che, in parte, sembrano far propri alcuni dei problemi qui sollevati. Si chiede, ad esempio, quali possano essere i criteri che consentono la qualificazione di un servizio media quale “servizio di interesse generale”, in aggiunta a quanto previsto dal Tusmar. Sarebbe interessante confrontare le risposte di Confindustria Radio Tv con quelle di Confindustria Digitale, che rappresenta anche Google, Meta e Amazon o dell’Anica, alla quale ha aderito Netflix, grande “favorito” con proprio tasto su molti telecomandi. Ancora: l’Agcom chiede quali possano essere le piattaforme e/o i dispositivi sui quali dovrà essere garantita la prominence dei servizi di interesse generale. Le associazioni hanno 60 giorni per rispondere.
Il tutto mentre dal 20 dicembre tutte le tv spegneranno il segnale in Mpeg2 e proseguiranno solo in Mpeg4, tagliando fuori dalla ricezione tutta una serie di vecchi televisori ancora presenti in molte famiglie come secondi o terzi apparecchi. Per spingere gli utenti a dotarsi di un televisore in grado di ricevere nel prossimo standard Dvb-T2 (la Nazionale di Calcio non aiuta). Ovvero a dotarsi, nella quasi totalità dei casi, di una SmartTv connessa alla Rete. E con tante app che appaiono immediatamente sullo schermo. Dal 2019 chi scrive questo post può “aprire” sul proprio apparecchio Samsug una app, WI FI permettendo, senza passare per la visione dei canali lineari nazionali. La profilazione è a quel punto automatica (e Sky con il suo Tv Glass non profila? E RaiPlay quando ti chiede un account?) : quanti dati circolano attraverso le applicazioni presenti sui televisori? Qualcuno, magari, anche in Italia, potrebbe perfino pensare di cederli a qualche colosso dell’intrattenimento mondiale: è il mercato, bellezza. Questo è il problema. Non siamo tanto noi a guardare la tv, ma la tv che guarda noi. E ci prende tutti i dati sui nostri consumi, gusti, preferenze…
E le televisioni locali? Qualcuno se le ricorda? Qualcuno conosce i tasti da premere sul telecomando per arrivare a quella emittente regionale? In questo caso il delitto è stato compiuto da tempo. E i colpevoli non hanno pagato. 15-16 aprile 2005: Prima Conferenza Nazionale sulla tv digitale terrestre, Forte Village, Santa Margherita di Pula (Cagliari). Lì è stato compiuto il delitto, lì c’erano le vittime e i carnefici. Proclamarono, ministro Maurizio Gasparri in testa, che le tv locali avrebbero potuto offrire ai cittadini servizi di T-Governement attraverso il digitale terrestre con gli apparecchi televisivi. Ci fu chi disse la verità: la Conferenza sul digitale terrestre si sta trasformando nel funerale delle emittenti locali, disse Maurizio Rossi di Primo Canale di Genova.
Torniamo alla prominence: la banda telefonica è entrata nel televisore. I nuovi barbari hanno conquistato il territorio italiano. Ora Roma, attraverso l’Agcom, deve rispondere. Ma chi si ricorderà che il funerale delle tv locali si è concluso da tempo? Primo ancora che scoppiasse la nuova guerra del telecomando. Questa è solo la prima puntata. Alla prossima.