Di Gregorio è autore, regista e protagonista di una storia semplice quanto universale: un uomo non più giovanissimo si trasferisce forzatamente in un paesino lontano da Roma e trova un nuovo amore. Punto. Tutto molto semplice, essenziale, senza fronzoli e senza sofisticate divagazioni sul tema. Lui e Stefania Sandrelli, bella, matura e in stato di grazia, danno vita e forza ad un racconto minimale ed essenziale, composto di poche battute, di tanti sguardi e di carezze leggere senza compiacimenti e senza sbavature. Intorno a loro ruotano protagonisti che solo apparentemente mettono poco fieno in cascina quanto invece irrobusticono in modo fondamentale la trama del racconto. Tutto quanto basta, non tanto di più e tanto di meno.
Del resto, Di Gregorio ci ha abituato a questo genere di racconto: per come lo abbiamo visto e ricordiamo in Pranzo di Ferragosto (dell’ormai lontano 2008) è un marchio di fabbrica. Da non dimenticare la sua fondamentale scrittura di Gomorra di Matteo Garrone. Per certo aspetti il regista romano propone sempre lo stesso film tutto incentrato su se stesso, la sua figura, il suo sorriso melanconico, il suo contesto sociale tra un bicchiere di vino all’osteria e un appartamento di mezza periferia. Da questo punto di vista, il film rende bene e si presta pure ad un racconto universale: si può vendere dovunque nel mondo, a tutti è concesso leggere nelle pagine dei sentimenti che Astolfo esprime. Curiosa la scelta del nome del protagonista. Astolfo, nella letteratura cavalleresca raccontata dall’Orlando furioso, è un personaggio forte e temerario quanto invece nel film è mite e generoso.
Il cinema italiano, come noto, è in crisi e non solo per colpa del Covid. È in crisi di idee, di proposte, di invenzioni e di scritture. Nei giorni scorsi abbiamo visto anche Il Colibrì, di Francesca Archibugi. A parte il tema trattato del fine vita che pure è di assoluta rilevanze e interesse, per il resto il film appare stanco e datato, faticoso e male orchestrato. Per questo “l’usato sicuro” di Di Gregorio almeno può rimettere in ordine un conto ancora troppo negativo per il nostro cinema.