Il lungo addio
Clelia Pallotta, Francesco Siliato
Alla fine è successo davvero, il servizio pubblico è meno seguito di Mediaset sia in prima serata che nell’arco dell’intera giornata. E non per poco tempo ma per un intero trimestre: nei 91 giorni trascorsi tra la fine del Festival di Sanremo e la fine della diciannovesima settimana del 2023 (12/02-13/05/2023 in confronto con lo stesso periodo del 2022). È questo il lascito dell’AD dimissionario Fuortes, che al suo arrivo nel luglio 2021 aveva trovato l’azienda con un vantaggio stagionale di 6,7 punti di share su Mediaset.
Le cause dell’arretramento del servizio pubblico sono molteplici e si sono accumulate in un lungo arco di tempo; andando molto all’indietro si può risalire alle assidue campagne stampa iniziate nei primi anni ‘70 da Eugenio Scalfari e mai terminate, anzi proseguite e sviluppate nel tempo da tante testate giornalistiche, cartacee e non. Della molteplici fanno poi parte anche il padre di ogni conflitto d’interesse e le sue conseguenze sulla forma del sistema; le risorse incerte sottoposte al desiderio dei governanti di turno; gli orientamenti di manager allineati più con il privato, proprio o altrui, che con il servizio pubblico; gli effetti collaterali delle politiche di spartizione; la diffusa cultura che sottostima e non dà valore al bene pubblico (salvo chiedere l’intervento pubblico urgente nel caso non infrequente di fallimento/cedimento del settore privato). Una cultura penetrata nel linguaggio, nel pensiero, nel racconto dell’offerta Rai snaturando sovente i compiti del servizio pubblico e finendo per stabilire una distanza ormai misurabile tra il mondo reale e quello raccontato dalla RAI. Tutto questo è avvenuto e sta avvenendo in un contesto di straordinario sviluppo tecnologico in cui l’offerta si è moltiplicata e le condizioni del consumo di intrattenimento e informazione si sono profondamente trasformate e facilitate. L’ingresso nelle case delle smart tv connesse e nel mercato televisivo delle grandi piattaforme globali con le loro allettanti offerte, hanno fornito solide alternative ai pubblici. I cambiamenti avvenuti negli ultimi anni comportano un calo complessivo dell’ascolto della “vecchia” televisione e uno spostamento di parte dei pubblici verso i nuovi broadcaster. In tutto ciò, comunque, anche in virtù di quanto detto sopra, la Rai perde più di Mediaset.
Nel giorno medio del trimestre 12 febbraio-13 maggio 2023 Mediaset è al 38,4% di share davanti al servizio pubblico al 37, 6 percento.
La tavola che segue mostra il quadro della situazione del consumo televisivo da televisore nell’arco dell’intera giornata. Grazie alle innovazioni operate da Auditel è possibile misurare il valore del non riconosciuto, cioè delle sintonizzazioni del televisore su visioni diverse da quelle proposte Live+Vosdal (Vosdal = Viewed On Same Day As Live) dagli editori direttamente monitorati. Il valore di questo altro è consistente, pesa per il 21,1% del riconosciuto e vale il 17,4% della Total audience. Si rende a questo punto necessario un intervento istituzionale che spinga e convinca i broadcaster (vale a dire Netflix, Prime Video, Disney, etc. etc.) ad accettare il software Auditel e la misurazione dei propri ascolti, come del resto già deciso da DAZN su pressione dell’AGCOM.
Chi più chi meno, chi prima chi dopo tutti gli OTT competono nel mercato del tempo dei pubblici e adesso anche nel mercato pubblicitario. Va da sé che i vantaggi di cui hanno goduto per cavilli e capricci legali, non sono più ammissibili in un contesto che li vede direttamente concorrenti con i broadcaster già operanti nel mercato.
Lo share k mostra il valore che la quota d’ascolto avrebbe se non ci fosse stata la separazione tra i dati “riconosciuti”, ovvero degli editori e delle reti monitorate da Auditel (134 solo quelle nazionali, senza contare le tv locali) e il “non riconosciuto”, valore che include tutto quello che viene visto sui televisori di casa e che Auditel non rileva singolarmente.
Il non riconosciuto include quindi, vedi tavola, persino le eventuali visioni di foto, di telecamere di sorveglianza, di consolle di gioco, come delle eventuali reti e piattaforme televisive non direttamente monitorate. I valori più elevati della voce riguardano tuttavia set-top-box e smart tv, sono quindi riconducibili alle piattaforme connesse al televisore attraverso Internet.
Un altro valore che si impone all’attenzione degli analisti è l’età media dei pubblici dell’una e dell’altra modalità di consumo. Diciotto anni di differenza tra la componente dell’ascolto riconosciuto e non riconosciuto e quella dell’ascolto non riconosciuto, sono un abisso, indicano non solo un diverso modo di accedere ai contenuti, ma anche diverse modalità di percezione dei contenuti, che sono infatti inseriti nel contesto Internet dove le scelte possibili sono praticamente infinite e non limitate al solo audiovisivo. Entrare, per esempio, sul televisore attraverso X-Box o Playstation e accedere ad una app televisiva è una scelta ben più forte che accendere il televisore e stabilire quale canale seguire. È allora rilevante constatare che il consumo di televisione è aumentato. Cresce l’offerta e cresce il consumo, crescono gli operatori del mercato del tempo e della pubblicità. Crescerà anche l’entità degli investimenti pubblicitari? Broadcaster come Viacom scelgono l’offerta gratuita di canali via Internet (AVOD) in tutto il mondo, Italia inclusa, ci si può connettere a Pluto Tv anche dalle game-console e da qualsiasi device abbia sistemi Android o iOS. Una ricerca stima in 72 milioni gli utenti attivi di Pluto Tv nel mondo (fonte: Fierce video), se la misura è globale anche la raccolta pubblicitaria lo sarà, con qualche localizzazione d’eccezione. Si tratta quindi o di progettare un ruolo per i broadcaster nazionali, o lasciar via libera al libero mercato. In un contesto come questo fortemente competitivo e innovativo, la disputa sulle sorti del canone avrebbe senso solo se si intendesse raddoppiarlo per rendere espletabili le funzioni del servizio pubblico e la realizzazione degli obbiettivi democratici dettati dalla Costituzione.